La figura dei Magi che da lontano giungono a Betlemme seguendo la luce di una stella è un’immagine magnifica dell’uomo che cerca la verità attraverso l’osservazione della natura. E ancora una volta, in occasione della festa dell’Epifania, Benedetto XVI ci ha regalato un intervento con spunti di straordinaria bellezza che interrogano l’esperienza non solo dell’uomo di fede, ma di chiunque sia impegnato in una seria ricerca.
Il Papa ha innanzitutto invitato a immedesimarsi nella posizione dei Magi, presumibilmente antichi astronomi del lontano oriente: «Erano persone certe che nella creazione esiste quella che potremmo definire la firma di Dio, una firma che l’uomo può e deve tentare di scoprire e decifrare». Interessante e controcorrente questa affermazione, secondo cui la ricerca incomincia da una certezza e non da un dubbio.
Un ricercatore, in effetti, non inizia la sua indagine se non assumendo che la realtà fisica nasconda in sé un senso, sia costruita secondo una razionalità o un ordine che lui è in grado di decifrare attraverso segni accessibili alla sua esperienza. Può non chiamarlo “Dio” come fa Benedetto ma, più o meno consapevolmente, ogni ricercatore nella tenacia del suo agire esprime una fede incrollabile in questa “misteriosa” razionalità impressa nel reale.
Ma torniamo ai Magi. In quanto veri ricercatori essi intraprendono un cammino sofferto, vivono l’avventura di un percorso rischioso. Tutto il contrario dei sapienti che incontrano sulla loro strada, «gli studiosi, i teologi, gli esperti che sanno tutto sulle Sacre Scritture, che ne conoscono le possibili interpretazioni, che sono capaci di citarne a memoria ogni passo» i quali «amano essere guide per gli altri, indicano la strada, ma non camminano, rimangono immobili».
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Come non vedere in questa tragica “immobilità” dei sapienti lo specchio della presunzione razionalistica moderna, della quale un po’ tutti siamo vittime, per cui l’uomo pretende di rinchiudere nella propria corta misura il criterio di ciò che esiste e di ciò che non esiste, e in cui la libertà è come bloccata e incapace di lasciarsi commuovere da qualunque cosa.
Così, al di là dell’interessante dibattito sull’interpretazione astronomica della “stella” dei Magi (molto probabilmente la congiunzione dei tre pianeti Marte, Giove e Saturno, fenomeno rarissimo datato nell’anno 7 A.C. del nostro calendario), la questione che il papa pone è quale sia lo scopo ultimo del ricercare e del conoscere. «L’universo», commenta, «non è il risultato del caso, come alcuni vogliono farci credere».
Ma poi non oppone una verità della fede a una verità della scienza, perché la verità, se è tale, non ha modo di contraddirsi: si tratta piuttosto di combattere ogni forma di tentazione ideologica. Tentazione che non appartiene solo al passato, come abbiamo visto – specie da parte di alcuni personaggi del mondo scientifico – anche nell’anno appena trascorso.
«Non dovremmo lasciarci limitare la mente da teorie che arrivano sempre solo fino a un certo punto e che – se guardiamo bene – non sono affatto in concorrenza con la fede, ma non riescono a spiegare il senso ultimo della realtà».
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La conoscenza scientifica non è «in concorrenza con la fede»: essa mette in luce nuovi e straordinari aspetti del reale, ma non è in grado di rispondere alle questioni che all’uomo maggiormente stanno a cuore: il senso della suo vivere e soffrire, il significato delle cose, il valore della singola persona, il suo desiderio di felicità, la sua esperienza di tradimento e di perdono. Così la scienza, meraviglioso e potente metodo conoscitivo, diventa una «limitazione della mente» se pretende di assorbire tutta la capacità conoscitiva dell’uomo.
Il metodo che Dio ha scelto per rispondere all’immensità del nostro bisogno è un altro, sorprendente. Continua il papa: «Se ci venisse chiesto il nostro parere su come Dio avrebbe dovuto salvare il mondo, forse risponderemmo che avrebbe dovuto manifestare tutto il suo potere per dare al mondo un sistema economico più giusto, in cui ognuno potesse avere tutto ciò che vuole. In realtà, questo sarebbe una sorta di violenza sull’uomo, perché lo priverebbe di elementi fondamentali che lo caratterizzano. Infatti, non sarebbero chiamati in causa né la nostra libertà, né il nostro amore. La potenza di Dio si manifesta in modo del tutto differente: a Betlemme, dove incontriamo l’apparente impotenza del suo amore».
Così quando i Magi seguendo il segno della stella giungono davanti a quella grotta, apparentemente insignificante, ai margini della cittadina e lontano dalle fortezze del potere, si trovano davanti a quanto di più inaspettato e, al tempo stesso, più corrispondente al loro cuore potessero scoprire.