Se la capacità degli uomini di cambiare il futuro con le loro decisioni quotidiane sia o meno un’illusione è un problema di cui tanto si è discusso. Il punto è che come spesso capita per le questioni più profonde, il procedere della conoscenza riaccende problematiche apparentemente in sordina: la rivoluzione quantistica del novecento ha costretto a riconsiderare il rapporto tra determinismo scientifico e libertà personale.



Nei primi giorni di questo nuovo anno, in un seminario dal titolo “Is free will an illusion?”, organizzato a Londra, presso la Netherhall House, dall’Institute for Interdisciplinary Studies e sostenuto dalla Fondazione Rui di Milano, dalla Fondazione Pellicano di Lugano  e dal Thomas More Institute di Londra, una quarantina tra studenti e docenti si sono ritrovati per discutere se nella fisica moderna vi sia spazio per la libertà. È evidente quanto una discussione del genere possa essere a dir poco scivolosa: “Io non voglio dimostrare a nessuno che è libero o che esiste la libertà, ma voglio solo mostrarvi che la vostra certezza di essere liberi non è in contraddizione con i moderni sviluppi della scienza”, ha esordito, nel corso della conferenza di apertura dei lavori, Antoine Suarez, fisico quantistico e direttore del Center for Quantum Philosophy (Zurigo, Ginevra).



Fino all’avvento della meccanica quantistica nei primi decenni del secolo scorso la fisica era una scienza completamente deterministica, difficilmente conciliabile con quella nostra consapevolezza di poter cambiare il corso futuro degli eventi. La meccanica quantistica, invece, invocando il caso nella descrizione delle leggi con cui evolvono i sistemi fisici, rompe quella predestinazione classica dell’universo che ha portato Laplace ad affermare: “Se esistesse un Intelletto così perfetto da conoscere a un dato tempo le posizioni e le velocità di tutti i punti dell’universo, allora Egli conoscerebbe tutto il passato e il futuro dell’universo.” Nonostante la nostra familiarità con la parola “caso”, esso ha in meccanica quantistica uno statuto metafisico, nel senso che pur intervenendo di continuo nell’evoluzione dei sistemi fisici, non è nemmeno potenzialmente un oggetto della fisica, e per questo è un oggetto esterno allo spazio ed al tempo, di cui però la fisica non può fare a meno. La riluttanza di alcuni scienziati ad introdurlo nell’ontologia stessa delle leggi fisiche è ben sintetizzata dalle celebri parole di Einstein: “Dio non gioca a dadi”.



I tratti fondamentali della nuova teoria, tra cui la necessità di introdurre delle entità esterne allo spaziotempo, sono ben visibili nel seguente esperimento: un fascio di luce, proveniente da una sorgente (denotata con S in figura), viene diviso da uno specchio semitrasparente (BS1) in due fasci (T ed R) che percorrono due diverse distanze; i due fasci, a loro volta, vengono  fatti incidere su un secondo specchio semitrasparente (BS2), dal quale emergono, per sovrapposizione, altri due fasci che vengono rivelati da due detector (vedi figura).

In questo interferometro, per basse intensità del fascio, solo uno dei due detector per volta rivela presenza di energia, o più brevemente “clicca”, come se la luce fosse fatta da particelle. Non solo. “La fisica quantistica è in grado di predire quante volte clicca ciascun detector se si esegue l’esperimento per un tempo molto lungo, ma non può mai dire quale dei due detector sarà il prossimo a cliccare: gli ultimi progressi della teoria quantistica, come il before-before experiment, noto anche come Suarez-Scarani experiment, stabiliscono che non sia possibile trovare una spiegazione causale per l’ordine di click dei detector, e che dunque tale ordine abbia una provenienza esterna allo spaziotempo”, prosegue Suarez, per poi ricordare che lo studio di tali entità, esterne allo spaziotempo e responsabile dell’ordine dei click, sia una questione che non appartiene alla fisica, che dovranno affrontare filosofi e teologi nei prossimi anni.

Si, perché durante gli incontri è emerso con chiarezza che l’importanza dell’interdisciplinarietà è pari alla necessità di non confondere metodi e validità delle discipline in gioco. Il rischio altrimenti è quello che ha ricordato un pomeriggio Peter Adams del Thomas More Institute di Londra presentando il libro “The Absence of Mind” di Marilynne Robinson: “Alcuni divulgatori scientifici promuovono la falsa idea che il pensiero moderno abbia raggiunto una soglia sulla quale la scienza è l’unico modo di dire qualcosa di vero, in modo da utilizzare la scienza per far passare, come vere, le loro opinioni personali”.

Anche durante gli incontri di questo seminario si è scherzato ribattezzando alcune osservazioni come “Science Assisted Speculation”, ma l’analogia tra l’interferometro quantistico e il cervello umano proposta da Antoine Suarez e Lorenzo Daldini, della facoltà di medicina dell’Università di Zurigo coglie alcuni aspetti fondamentali. I dettagli del seminario sono disponibili al sito http://www.socialtrendsinstitute.org/downloads/ANTOINE-Does-free-will-require-new-physics-(22.11.2010).pdf, ma alcune analogie balzano subito all’occhio: i segnali elettrici che viaggiano nel cervello sono prodotti da particolari neuroni, chiamati neuroni pacemaker, così come la luce che viaggia in un interferometro è prodotta da una sorgente di luce; inoltre, così come nell’interferometro si sovrappongono onde di luce, così nel cervello si sovrappongono correnti: se tali segnali elettrici vengono trattati con la meccanica quantistica, anch’essi possono dare effetti di interferenza analoghi a quelli che si possono produrre in un interferometro. Proseguendo con l’analogia, si può considerare che il risultato dell’esperienza dell’interferenza, cioè una successione apparentemente casuale di click, sia paragonabile alla successione dei particolari assemblaggi neuronali mediante cui centri del cervello, detti central pattern generators, attivano i muscoli: “Entrambi i processi contengono nella loro dinamica una sovrapposizione di onde quantistiche, e  sono entrambe controllati da influenze esterne allo spazio-tempo; il risultato dell’interferometro esibisce un livello di controllo molto basso, il movimento dei muscoli è controllato ad alto livello dalla volontà del soggetto. Con la filosofia si dovrebbe allora stabilire una gerarchia tra le entità esterne allo spaziotempo.”

È facile immaginare la vivacità delle discussioni dei giorni seguenti, che iniziavano nella sala incontri e spesso finivano di sera in un pub: se il contrasto tra determinismo scientifico e libertà personale avrebbe in passato fatto arrossire uno scienziato, ora non più, “perché la libertà non è necessariamente in disaccordo con la fisica”. Chiacchierando con un gruppo di studenti Suarez ha detto: “Queste idee non costituiscono ancora una teoria organica del cervello basata sulla meccanica quantistica, ma nascono dal desiderio di cercare l’unità nella conoscenza”. Già, in questo seminario è stato evidente che c’è tanto da guadagnare nell’invito del Papa: “C’è bisogno di riguadagnare l’idea di una formazione integrale basata sull’unità della conoscenza radicata nella verità” (Praga, 27 settembre 2009).