Il 2010 ha chiuso ai vertici. Questo il responso del WMO (World Meteorological Organisation). La temperatura globale ha raggiunto un’anomalia di 0,53 °C, calcolata sulla media 1961-90, eguagliando i caldissimi anni 1998 e 2005, che detengono tutt’ora i record storici da almeno 150 anni. Il report snocciola successivamente informazioni più dettagliate, soffermandosi su diverse macro-aree del pianta. La Groenlandia e l’artico Canadese, ad esempio, fanno segnare il record storico di temperatura, mentre il nord Europa risulta più freddo rispetto alla media. In particolare, il dicembre 2010 disegna lo stesso andamento per il comparto Atlantico ed Europeo, con anomalie fortemente positive e negative rispettivamente in area Groenlandese ed Europea.
Non viene sottolineato (forse per non scadere in una disamina per i soli addetti ai lavori?) che tale comportamento, almeno e sicuramente per il mese di dicembre passato, ha una spiegazione ben precisa, il cui nome è NAO (North Atlantic Oscillation). Questo termine viene usato per descrivere la disposizione generale del campo di pressione per l’area Nord-Atlantica ed Ovest-Europea. Il dicembre 2010 (ma come anche l’inverno 2009-10) si è chiuso con un indice NAO estremamente negativo, il che significa che bisogna aspettarsi forti anomalie alto-pressorie su Groenlandia e Artico Canadese, mentre il contrario avviene per la zona Europea. Se ciò accade durante i mesi invernali è lecito attendersi un inverno estremamente crudo per un po’ tutta l’Europa occidentale e centrale; e invece temperature molto alte per le zone polari e sub-polari Canadesi, così come per la stessa Groenlandia.
In realtà non viene neppure citato (se non brevemente per spiegare la causa delle forti inondazioni in Est Australia) l’andamento del fenomeno naturale forse più importante, il Nino. Il 2010 ha chiaramente visto le anomalie del Pacifico tropicale sopra media per tutta la prima parte dell’anno. In ambito scientifico è ben noto che gli effetti di tali anomalie, con un lag di qualche mese, corrispondono a un generale riscaldamento dell’atmosfera. Com’è anche ben noto che la Nina instauratasi dall’estate 2010 e al picco massimo di attività proprio in questi mesi, avrà effetti opposti. Non a caso, il dicembre appena passato ha fatto registrare una grossa inversione di tendenza della temperatura globale, con una forte diminuzione che quasi certamente aumenterà nei mesi venturi. Si può quindi affermare con ragionevole certezza che il 2011 chiuderà al ribasso, ben lontano dai record dell’anno precedente.
Tuttavia, i due fenomeni fin’ora descritti, e molto utili per declinare i trend globali di temperatura su scala annuale e multi-annuale (cosiddetta, decadale), non bastano per spiegare un trend al rialzo che dura ormai da diversi decenni (inizi ‘900). In effetti, questa salita che sembra senza fine non è lineare, non è costante. La si potrebbe paragonare alla salita di un passo dolomitico, dove si parte dai 700 m di altezza per arrivare in cima, ai 2100 m. Durante la salita si incontrano delle piccole, temporanee discese, ma al netto del viaggio, ci ritrova 1400 m più in alto. Come già detto, tali temporanee discese possono essere derubricate a “variabilità naturale”. Ma il nocciolo vero della questione è trovare il trend di fondo. In un articolo recentemente apparso su Science, Jeffrey Kiehl pone l’accento sul clima del passato.
Citando diverse fonti, Kiehl si concentra essenzialmente su tre punti.
1) La crescita di CO2 a cui stiamo assistendo raggiungerebbe facilmente la soglia dei 900/1100 ppmv per la fine del secolo in corso, cosa già accaduta fra i 30 e i 40 milioni di anni fa. Tuttavia, mentre per scendere al valore attuale di circa 300 ppmv il sistema Terra impiegò più di 10 milioni di anni, ora potremmo ritrovarci al precedente record di CO2 nel giro di un solo secolo; e questo grazie alla immissione di combustibile fossile, in gran parte imputabile all’uomo.
2) La temperatura media di 30-40 milioni di anni fa può essere stimata attorno ai 31 °C, contro i 15 °C corrispondenti all’età pre-industriale. Ben 16 gradi più alta. Kiehl qui fa una supposizione cruciale. Afferma che al tempo la geografia terrestre era sostanzialmente la stessa e il Sole era addirittura meno luminoso di quanto non lo sia ora. Ragion per cui, la concentrazione di CO2 rimane la causa più attendibile per spiegare il bilancio radiativo, e conseguentemente la temperatura media terrestre.
3) Kiehl fa anche un appunto finale, sottolineando che i modelli di previsione climatica allo stato dell’arte sono ancora imperfetti. Non tutti i feedback presenti in atmosfera, oceano e terra possono essere inseriti e ben parametrizzati. Come ad esempio i processi di formazione del ghiaccio continentale, o i processi legati alla vegetazione o allo stesso ciclo del carbonio. Tutti fattori che concorrono a feedback molto lenti (nell’ordine delle decine di anni) e che potrebbero peggiorare le previsioni al riscaldamento attuali.
Il concetto che si vuol far passare nell’articolo è evidente e non lascia spazio a molte interpretazioni. Risulta però altrettanto evidente che la conferma di tale ipotesi rimane, in ambito scientifico, una vera sfida. È tutt’ora incerto, ad esempio, quanto i processi naturali e i loro cicli decadali e multi-decadali possano influire al netto del trend di fondo. Non ci sarebbe da stupirsi, dunque, se nei prossimi 10, 15 anni ci trovassimo ad assistere ad un parziale rallentamento del suddetto trend al rialzo.