Qualche giorno fa, di ritorno da 4 mesi di studio a Trondheim, Norvegia, uno studente del Politecnico di Milano mi raccontava di aver trovato -secondo le medie calcolate in loco dai Norvegesi- “l’inverno più freddo dai tempi della Rivoluzione Francese”. Il commento è stato spontaneo: “che strano… Non siamo in un momento di riscaldamento globale?”.



In realtà, come spiegato ieri sul Sussidiario da Giacomo Masato (https://www.ilsussidiario.net/news/scienze/2011/1/25/clima-le-anomalie-del-meteo-batteremo-i-denti-mentre-la-temperatura-salira/144362/ ), che il trend globale della temperatura media del pianeta stia salendo da decenni non significa che in alcuni periodi e in determinate regioni non si possano verificare abbassamenti significativi della temperatura, rallentando la corsa al riscaldamento globale. E’ proprio il caso dell’inverno che stiamo affrontando, che costringe noi Europei a fare i conti con temperature più rigide della media degli ultimi anni: di questo fatto qualcuno ha trovato una ipotesi di spiegazione.



Il 14 gennaio infatti un articolo di Science ha proposto il risultato di uno studio di un team di scienziati dell’Università di Cardiff che fornisce gli elementi per rispondere. Il comportamento climatico cui stiamo assistendo è certamente determinato da una espansione dell’area di influenza delle correnti d’aria fredde di origine artica, a discapito delle correnti più calde provenienti dall’Atlantico. In pratica le correnti Atlantiche sono più deboli e meno calde del solito. Perché? Secondo gli scienziati il motivo, come spesso capita quando si studia un “oggetto” così complesso e intimamente interconnesso come la nostra atmosfera, è da cercare in un luogo apparentemente lontano: le acque del nord dell’oceano Atlantico.



Come molti scienziati pensano, i venti più caldi che spirano da ovest sull’Europa non esisterebbero senza gli spostamenti di acqua calda nell’Atlantico: la Corrente del Golfo, infatti, corrente calda che scorre nell’oceano Atlantico dal Golfo del Messico al Circolo Polare Artico, mette in moto correnti d’aria più calde a lei soprastanti e le spinge verso il continente europeo.

Le correnti oceaniche sono degli immensi tapis-roulant che trasportano il caldo immagazzinato nelle regioni tropicali verso zone più fredde, rendendole meno inospitali, come avviene nella parte meridionale dell’Islanda e le coste della Norvegia. Questa “ridistribuzione” del calore immagazzinato dalle acque tropicali è una funzione essenziale di regolazione del clima su scala globale; gli scienziati chiamano Great Ocean Conveyor (Grande Nastro Trasportatore Oceanico, ndr) il sistema di tutte le correnti oceaniche terrestri. La formazione della corrente dipende dall’inabissamento delle acque fredde nella parte nord-est dell’Oceano Atlantico, processo che obbliga le acque calde che arrivano da sud a viaggiare fino a lì per rimpiazzare l’acqua inabissata.

 

L’Europa è così mantenuta più calda di quello che sarebbe: se il meccanismo di circolazione subisse delle alterazioni, il posto dei venti caldi occidentali verrebbe occupato dalle correnti fredde del Polo Nord, che si spingerebbero fino a dove di solito non riescono. In questo quadro il raffreddamento potrebbe toccare anche i 10 gradi °C. Gli scienziati dell’Università gallese ritengono che i cambiamenti nel meccanismo delle correnti oceaniche possano essere più repentini e avere effetti più rilevanti di quello che si è creduto fino a oggi. A questo riguardo, nel lavoro guidato da David Thornalley, della Cardiff School of Earth and Ocean Sciences, viene mostrato come l’Oceano Atlantico sia capace di cambiamenti radicali riguardanti la sua circolazione su scale di pochi decenni. Al termine dell’ultima glaciazione (10-20.000 anni fa), infatti, la formazione di acqua profonda a Nord è stata più o meno efficiente: coerentemente con l’inabissamento, il clima si è riscaldato e raffreddato nei secoli.

 

Ogni volta che la formazione di acqua profonda si interrompe e il Nordest Atlantico non ne rimpiazza la mancanza, la corrente calda si indebolisce e l’Atlantico viene inondato da acqua proveniente da zone vicine all’Antartico, che viaggiano velocemente verso nord. La superficie oceanica, quindi, in quei casi non è più calda.

 

Thornalley, spiega come si sono potuti studiare i cambiamenti nelle correnti oceaniche: “abbiamo estratto nuclei di sedimenti oceanici dal fondo dell’Atlantico del Nordest che contenevano gusci di piccoli organismi. Li abbiamo usati per studiare la distribuzione dei radiocarbonio nell’oceano, misurando quanto tempo fosse passato prima che l’acqua fosse per l’ultima volta sulla superficie del mare. Questo ci ha permesso di capire la velocità di formazione delle le acque profonde nel Nord Est Atlantico nel passato.

 

I risultati ottenuti mettono in evidenza quanto sia dinamica e sensibile la circolazione oceanica.” Per il futuro allora dobbiamo aspettarci cambiamenti radicali? Magari una piccola glaciazione? Le cose sembrano essere meno drammatiche di quello che potremmo pensare. Spiega infatti Thornalley che “la circolazione in era moderna è più stabile che nell’ultima Era Glaciale, ed è quindi soggetta a cambiamenti meno drammatici.” E’ importante perciò “continuare a sviluppare la nostra comprensione del sistema climatico e di come esso risponda una volta che accade qualche tipo di modifica.”

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