Gli sviluppi della fisica moderna hanno svelato agli scienziati che la materia “che si vede”, come le stelle, le galassie, i pianeti, non è che la più piccola parte dell’Universo nella sua interezza: gran parte della sua massa, infatti, è invisibile e si nasconde alla vista dei più sofisticati strumenti di osservazione ottica, ma esiste e pervade l’Universo in ogni sua parte. Fra le decine di particelle predette dai modelli teorici, il principale indiziato come costituente della cosiddetta “materia oscura” è il neutrino, elusivo abitante del cosmo, che ha fra le sue caratteristiche principali quella di interagire molto raramente con la normale materia barionica, quella “che si vede” e che va a costituire gli elementi chimici di cui tutti gli oggetti -dalle stelle, ai pianeti, al nostro corpo- sono fatti. Siamo immersi in un mare di neutrini, che ci attraversano da ogni parte, e non ce ne accorgiamo minimamente.



Per andare a catturare i segni della presenza di neutrini, i fisici delle particelle e gli astrofisici hanno concepito particolarissimi “osservatori”, totalmente diversi da quelli derivati dall’astronomia ottica, che sfruttano un fenomeno noto come “effetto Cherenkov”, dal nome dello scienziato Russo che lo individuò negli anni ’50 del XX secolo. Per catturare la luce dell’effetto Cherenkov servono rilevatori speciali, che riescano a rilevare le deboli emissioni di luce blu dovute all’interazione di particelle cariche con le molecole del mezzo attraversato. Il mezzo, poi, deve per forza di cose essere trasparente alla luce Cherenkov, ma sufficientemente denso, esteso ed omogeneo per consentire una ragionevole statistica degli eventi di interazione, inoltre il luogo delle osservazioni deve essere sufficientemente protetto dalle altre particelle energetiche che continuamente colpiscono la superficie terrestre, come i raggi cosmici. I “telescopi” dei cacciatori di neutrini sono perciò immense vasche d’acqua purificata -il mezzo trasparente alla radiazione Cherenkov- poste nelle profondità della terra -lo schermo dalle altre radiazioni-, come per esempio i Laboratori Nazionali del Gran Sasso (LNGS), in Italia, che ospitano diversi esperimenti legati all’osservazione dei neutrini.



Anche in queste condizioni, i neutrini rilevati sono meno di quello che si potrebbe osservare, per via delle limitate dimensioni delle vasche. Negli ultimi anni, perciò, si è andati ben al di là delle vasche di osservatori come il Gran Sasso: si sono impiantati osservatori direttamente nel mare o nei ghiacci antartici. Nel Mediterraneo e al Polo Sud si sono iniziati imponenti esperimenti, tesi a realizzare enormi siti di osservazione simili a quelli già operanti nelle viscere della terra: esperimenti come Nestor, Antares e Nemo nel Mediterraneo hanno dimensioni impressionanti, e consistono in una serie di colonne di rilevatori che si sviluppano a grandi profondità. I rilevatori di Nemo, per esempio, esperimento a guida italiana, posizionato nelle acque del Mare Ionio, a 40 miglia marine da Capo Passero in Sicilia, toccano nel punto più basso 3250 metri di profondità e investono quasi un chilometro cubico di mare.



Anche il ghiaccio è un ottimo elemento per i cacciatori di neutrini, soprattutto quello del Polo Sud. Il 18 dicembre del 2010 è infatti entrato in funzione il sito di osservazione per neutrini più grande al mondo: IceCube, questo il suo nome, è sepolto nei ghiacci antartici e si estende attraverso un chilometro cubico di ghiaccio a partire da 1.400 metri sotto la superficie. Ice Cube è stato preceduto da un esperimento pilota, AMANDA, che interessava una sezione di ghiaccio meno estesa. Fatto salvo il differente stato dell’acqua -solida per IceCube, liquida per gli esperimenti Nestor, Nemo e Antares-, l’intuizione all’origine è la medesima: non utilizzare più le cavità sotto la roccia, ma ambienti naturalmente già pronti all’uso. Il ghiaccio, come l’acqua, infatti, è ultra-trasparente alla luce, quindi perfetto per la rilevazione dell’effetto Cherenkov.

Le stime attuali prevedono per IceCube il rilevamento giornaliero di circa un migliaio di muoni, particelle che si creano a seguito di uno scontro fra un neutrino e un atomo nel ghiaccio, mantenendo la stessa direzione ma verso opposto. Purtroppo, nonostante il chilometro e mezzo di ghiaccio, per ogni muone originato da neutrini cosmici, IceCube ne rileva circa un milione generati da raggi cosmici che si scontrano con particelle della nostra atmosfera. Le osservazioni più importanti saranno perciò quelle che non arrivano dalla superficie dei ghiacci: i neutrini altamente energetici infatti possono attraversare tutta la Terra e arrivare dal fondo dei ghiacci, mentre i muoni prodotti in atmosfera vengono schermati dal nostro pianeta.

Le fonti dei neutrini provenienti dal basso possono essere buchi neri, gamma-ray burst, o resti di supernovae. I dati che IceCube raccoglierà potranno contribuire anche alla comprensione dell’origine dei raggi cosmici, delle WIMP (Weak Interacive Massive Particles) e di altri aspetti della fisica nucleare e delle particelle.
Il progetto è imponente e ha richiesto cinque anni di lavoro per la realizzazione materiale dell’osservatorio, non contando gli anni di funzionamento dell’esperimento predecessore. IceCube è infatti costituito da 5160 sensori ottici disposti su 86 file da 60 sensori ciascuna immerse nel ghiaccio da 1400 a 2400 metri sotto la superficie dei ghiacci. I pozzi sono stati realizzati usando un "trapano" a forma di cono che spruzza acqua calda.

Alla guida dell’esperimento c’è l’Università del Wisconsin-Madison, che ha gestito un finanziamento di ben 271 milioni di dollari da parte della National Science Foundation americana e di altri co-finanziatori e ha visto la partecipazione università dal Belgio, dalla Germania, dalla Svezia e altre dagli Stati Uniti, per il coinvolgimento di 400 persone e l’impiego continuativo di 50 persone in sito durante tutto l’anno. Francis Halzen, professore di Fisica presso l’Università del Wisconsin-Madison e responsabile del progetto, dice che il completamento dell’osservatorio è il compimento di un progetto di larghissimo respiro: “Fin dagli anni ’70 abbiamo sognato di costruire un detector di queste dimensioni e abbiamo speso 20 anni lavorando a IceCube. Se la scienza che ne verrà porterà metà dell’eccitazione dovuta alla realizzazione di questo strumento, avremo un brillante futuro di fronte a noi.”

L’effetto Cherenkov consiste nell’emissione di fotoni da parte delle molecole attratte dal passaggio di particelle cariche che hanno velocità nel mezzo maggiore di quella della luce.   La luce emessa nell’effetto Cherenkov è blu: le particelle superveloci nei reattori nucleari generano la carattersticha luce blu al loro interno.
Come possono esistere particelle che vanno più veloce della luce? Einstein non aveva forse “imposto” che nulla andasse più veloce della luce? In realtà la relatività dice che nulla può andare più veloce della luce nel vuoto, ma la luce va meno veloce nei mezzi di quanto non faccia nel vuoto: questo significa che in qualsiasi mezzo che non sia il vuoto possono esistere particelle che vanno più veloci della luce nello stesso mezzo, senza superare la velocità della luce nel vuoto. E’ proprio il caso dei neutrini energetici, quelli emessi dalle reazioni violente in corpi celesti come le supernovae o le gamma-ray burst, o nei pressi dei buchi neri. L’effetto Cherenkov è l’analogo elettromagnetico di quanto avviene in un gas quando un corpo viaggia a velocità maggiore di quella del suono in quel corpo, come il “bang” dell’effetto Mach provocato dagli aerei ultrasonici.