La ricreazione dei tessuti organici è ormai una frontiera battuta ed esplorata in modo sempre più deciso e convinto. Il motivo è quasi ovvio: andare a rigenerare tessuti laddove si hanno rotture, strappi o deterioramenti di qualsiasi tipo dovuti a malattie e traumi. Molti risultati importanti sono stati raggiunti: certo, non arriveremo mai a ricreare i tessuti alla velocità di Wolverine, il protagonista del fumetto X-Men, che si auto-rigenera a velocità fantascientifica, ma la strada intrapresa è già stata foriera di nuove e interessanti possibilità.



Il lavoro da svolgere è assai delicato e difficile. In alcuni casi bisogna artificialmente convincere qualche tipo di “mattone biologico” ad assemblarsi e svilupparsi come se fosse in una situazione del tutto “naturale”: risultati significativi sono stati ottenuti soprattutto utilizzando le staminali, costringendole a replicare tessuti, come per esempio la pelle umana. Altra possibilità è quella di trovare delle “basi” che siano sede per uno sviluppo di materiale biologico: qualcosa già si fa con alcuni composti artificiali che diventano, in un certo senso, i “semi” per la crescita di tessuti biologici.



In una delle principali università americane, a Berkeley, un gruppo di bio-ingegneri ha intrapreso una via che potremmo considerare in qualche modo intermedia: ha preso un virus, cioè un organismo biologico che di fatto si pone come anello di congiunzione tra il mondo inanimato e le strutture cellulari, di una specie non pericolosa per l’uomo, e lo ha usato come “mattone” per costruire un nuovo materiale di derivazione biologica, ma anche per studiare le caratteristiche di auto-assemblaggio di questa struttura sopra-molecolare.

Il gruppo, guidato da Seung-Wuk Lee e dal suo studente Woo-Jae Chung ha messo a punto una tecnica semplice e capace di dare molte indicazioni su questo tipo di “costruzioni”. Il virus utilizzato è l’M13, un virus filamentoso che attacca i batteri di Escherichia Coli. Le costruzioni realizzate sono di varia forma: da veri e propri “tappeti” ondulati a singoli filamenti che si arrotolano su loro stessi. Tutte le strutture, in ogni caso, hanno caratteristiche geometriche curve o arrotondate.



Il motivo della pertinenza delle forme arrotondate lo spiega Lee raccontando recentemente su Nature l’idea dell’esperimento: «Siamo molto curiosi di capire come la natura possa creare diverse strutture e funzionalità a partire dai singoli mattoni, come il collagene per gli animali e la cellulosa per le piante. Abbiamo pensato al fatto che i cambiamenti periodici nell’attività cellulare (notte/giorno, estate/inverno) fanno emettere alla cellula differenti quantitativi di macromolecole in micro-ambienti ben confinati e curvi, che possono giocare perciò un ruolo cruciale nella formazione di strutture così sofisticate. Crediamo che le strutture biologiche elicoidali composte di nanofibre siano fondamentali in questi processi, ma per il collagene e la cellulosa è stata provata con difficoltà l’ingegnerizzazione delle loro proprietà chimiche e fisiche per studiarne i processi di assemblaggio. Perciò ci siamo spinti a cercare nuovi materiali elicoidali ingegnerizzabili». La scelta, perciò, è ricaduta su M13, che “fortunatamente si è rivelato perfetto per questo tipo di studi”, chiosa ancora Lee.

Nel loro laboratorio i ricercatori hanno messo un certa quantità di virus in una soluzione salina dove hanno immerso un sottile substrato sul quale i virus potessero depositarsi e aderire. Variando la velocità con la quale i substrati si ritirano, o la concentrazione del virus in soluzione, o la concentrazione salina della soluzione, i bio-ingegneri hanno ottenuto tre tipologie di film sottili di virus: la prima, realizzata con una sospensione di virus a bassa densità, consiste in bande di filamenti alternate, con i filamenti virali in ciascuna banda orientati perpendicolarmente rispetto alla banda adiacente; nel secondo caso, aumentando la concentrazione dei virus in soluzione, hanno creato una specie di nastro elicoidale, con una possibilità di manipolazione migliore a scale maggiori di quanto non si possa fare alle dimensioni dei virus; nel terzo caso, aumentando ancora la concentrazione di virus e aumentando la velocità di ritirata del substrato, il prodotto ha assunto la forma di filamenti simili ai caratteristici spaghetti in brodo giapponesi.

«La natura – commenta Chung – cambia dinamicamente le variabili ambientali che influenzano la costruzione di un nuovo tessuto mentre esso cresce. La bellezza del nostro sistema è che anche noi possiamo fare lo stesso. Alterando vari parametri, guidiamo il processo verso specifiche strutture in maniera controllata. Possiamo anche realizzare differenti strutture sullo stesso substrato». «Crediamo fermamente che il nostro innovativo approccio alla costruzione di strutture sopramolecolari auto-sagomate sia strettamente simile a quello degli assemblati di fibre elicoidali», aggiunge Lee.

I ricercatori hanno dimostrato che i film di questi nuovi bio-materiali che si autoassemblano in modo gerarchico, come la cornea a livello di complessità più basso, e la pelle a un livello più alto, possono essere utilizzati come substrati biologici, e il team ha per esempio ricreato un materiale simile allo smalto dei denti aggiungendo del calcio e dell’acido fosforico.

Si aprono molte strade, dunque; la vera innovazione sta però nella semplicità e dinamicità del metodo gerarchizzato di produzione del nuovo materiale: si può già pensare a come utilizzare questo tipo di approccio anche per analizzare e intervenire nei meccanismi di degenerazione come l’Alzheimer, o per la riparazione e la rigenerazione di molti altri tessuti biologici, o anche per la creazione di nuovi materiali inorganici di cui si riesca a regolare le proprietà ottiche, meccaniche ed elettriche dal livello della scala nanoscopica fino a quella macroscopica.