Morire a tre giorni dalla vittoria del premio Nobel: è ciò che è accaduto, secondo le vie di un disegno misterioso, al sessantottenne biochimico Ralph M. Steinman, al quale quello stesso disegno aveva dato di prolungare l’esistenza terrena, gravata da un tumore al pancreas, proprio in virtù della sua stessa scoperta. Era stato lui nel 1973 a scoprire un nuovo tipo di cellule, le cellule dendritiche e a ipotizzare e il loro ruolo nell’immunità adattativa. Per questa scoperta ora gli è stato conferito il massimo riconoscimento, che però non potrà andare a ritirare il prossimo dicembre a Stoccolma.
Ci saranno invece gli altri due vincitori del Nobel per la medicina e la fisiologia: il lussemburghese Jules Hoffmann e l’americano Bruce Beutler “per le loro scoperte sui meccanismi di attivazione dell’immunità innata”. Il primo studiando i meccanismi di difesa nel moscerino della frutta, aveva capito che alcuni particolari mutanti morivano in quanto non riuscivano a sviluppare una adeguata difesa immunitaria. Il secondo ha dimostrato che mammiferi e moscerini della frutta utilizzano molecole simili per attivare l’immunità innata.
Sono state tre tappe fondamentali per la conoscenza del nostro sistema immunitario, cioè di quell’insieme di sofisticati meccanismi che difendono il nostro corpo dall’assalto di “invasori esterni” potenzialmente ostili, come virus, batteri o altre sostanze nocive che potrebbero danneggiare l’organismo anche in modo permanente.
Ne abbiamo parlato con Maria Grazia Sabbadini, Professore Ordinario di Medicina Interna presso l’Università Vita e Salute San Raffaele e Responsabile dell’Unità Operativa di Medicina Generale a indirizzo Immunologia, Reumatologia e Allergologia dell’Istituto Scientifico H S. Raffaele di Milano.
Anzitutto, può spiegare cosa si intende per immunità innata?
L’immunità innata è la più antica nella storia evolutiva e si compone di una serie di cellule come i monociti, i macrofagi e anche le cellule dendritiche, che sono dotate di recettori che riconoscono certi gruppi di molecole presenti negli agenti patogeni ma non all’interno del proprio organismo. Quindi costituiscono il primo gruppo di barriere che riconoscono la presenza di cellule estranee e di conseguenza lanciano all’organismo un segnale di allarme, di pericolo, che determina l’attivazione di una serie di difese immunitarie.
Hanno la caratteristica di essere immediate, di non confondere tra molecole esterne e interne: tuttavia non hanno la capacità di autoreplicarsi in tempi rapidi per poter mantenere nel tempo le loro capacità, mentre i batteri si moltiplicano in tempi rapidissimi.
Invece l’immunità adattativa?
Questo sistema immunitario innato si riconnette a quello adattativo, dove le cellule dendritiche introitano i patogeni, li smontano e li indirizzano verso le stazioni linfatiche dove c’è un continuo passaggio dei linfociti, ciascuno dotato di un recettore diverso con possibilità di leggere un gran numero di molecole diverse e di riconoscere l’antigene interessato.
A questo punto le cellule dell’immunità adattativa sono in grado di attivarsi e replicarsi, diventando la memoria immunologica capace di attivarsi rapidamente anche al secondo arrivo dell’antigene. È questo il motivo per cui noi che abbiamo fatto il morbillo da piccoli non lo facciamo più.
Qual è sta l’importanza delle cellule dendritiche scoperte di Steinman?
Le cellule dendritiche sono così chiamate per la loro particolare forma “ramificata”, organizzata secondo una particolare geometria che consente loro di avere la massima possibilità di penetrazione e assorbimento. La loro importanza è che rappresentano una sorta di ponte che permette il passaggio dalla prima linea di difesa, che non ha memoria e quindi deve ogni volta ripartire dall’inizio, verso la seconda, quella adattativa: sono loro che permettono che si metta in movimento l’immunità adattativa.
L’immunità adattativa è stata la prima studiata ed è quella che ha permesso più facilmente delle applicazioni terapeutiche. Dell’immunità innata si conoscevano le cellule classiche ma non era chiaro il meccanismo che le metteva in moto. Poi, dopo la scoperta delle cellule dendritiche si è capito meglio tutto il sistema immunitario, che è stato ristudiato e conosciuto in modo più profondo.
Lei ha accennato alle applicazioni; cosa si può dire in proposito?
Dagli studi di Beutler e Hoffmann è stato possibile isolare il Tnf, il fattore di necrosi tumorale Alfa, dimostrando il suo ruolo nelle reazioni infiammatorie; sono state poi inventate molecole ricombinanti progettate per neutralizzare il Tnf e impiegate nei farmaci contro l’artrite reumatoide, il morbo di Crohn, la psoriasi e altre patologie infiammatorie; sono stati anche identificati i geni coinvolti in altri importanti processi biologici, come la regolazione dell’assorbimento del ferro, l’udito e lo sviluppo embrionale.
C’è un nesso anche con la lotta contro i tumori?
Sì, perché se si riesce a far riconoscere come pericolosa la cellula tumorale, si può scatenarle contro la risposta immune; cosa che si è cercato di fare e per ora funzione solo in alcuni casi, come i tumori della pelle, dei reni e qualche altro.
In sintesi qual è il valore di questi tre premio Nobel?
L’importanza di queste scoperte è che, insieme, hanno permesso di ricomprendere il ruolo e la peculiarità del nostro sistema immunitario, che da alcuni è stato giustamente indicato un po’ come la nostra seconda mente, per tre motivi: perché offre la possibilità di combinare un numero limitato di recettori per ottenere una varietà di risposte; un po’ come le lettere dell’alfabeto che consentono di formare un’infinità di parole; poi perché è dotato di memoria, cosa che nessun altro sistema dell’organismo possiede; infine perché è dotato di una capacità di discernimento, cioè di riconoscere gli antigeni patogeni e di distinguerli dalle altre molecole.