Anche se le cause non sono per niente chiarite, è un dato di fatto che la temperatura superficiale degli oceani stia significativamente aumentando. Gli organismi marini, di solito particolarmente sensibili alle variazioni di temperatura hanno alcune possibilità per sottrarsi alle condizioni ambientali divenute inadatte. Possono migrare verso latitudini maggiori oppure scendere in profondità dove la temperatura dell’acqua è normalmente inferiore.
In alcuni casi, però, queste migrazioni non sono possibili a causa della ridotta mobilità delle specie o di ineludibili requisiti biologici delle stesse. È questo, ad esempio, il caso dei vegetali marini che non possono scendere in profondità a causa della riduzione della luminosità che deprime o blocca i processi fotosintetici. Per questi organismi, che non sono in grado di fuggire da qualche parte, il riscaldamento globale porta letteralmente alla perdita del proprio ambiente e di conseguenza al drammatico bivio tra l’impervia via dell’adattamento eco-fisiologico alle mutate condizioni ambientali e quella più mesta che conduce, almeno localmente, all’estinzione.
È quanto è stato recentemente dimostrato, grazie all’elaborazione di un ampio set di dati, in un articolo pubblicato sulle pagine della prestigiosa rivista Science. Questo genere di evidenza risulta particolarmente utile per interpretare fenomeni peculiari che si stanno verificando nel ristretto ambito del nostro Mediterraneo che, come un oceano in miniatura, rappresenta un perfetto modello di ciò che accade a scala globale.
La fauna del Mediterraneo ha un’origine molto particolare. Circa sei milioni di anni fa, durante la cosiddetta cisi del Messiniano, la soglia di Gibilterra si innalzò tanto da isolare completamente il mare nostrum eliminando l’afflusso di acque Atlantiche. In queste condizioni, grazie ai modesti apporti d’acqua dolce e all’elevata evaporazione il bacino si prosciugò rapidamente portando all’estinzione la gran parte delle specie presenti in esso. Quando lo stretto di Gibilterra ritornò alla sua attuale morfologia le acque Atlantiche ricostituirono nuovamente il Mediterraneo recando con esse gli organismi che, con l’andar del tempo, ricomposero la fauna del Mediterraneo.
Va però notato che, con l’alternanza dei periodi glaciali e interglaciali, specie di volta in volta di origine tropicale e boreale penetravano nel Mediterraneo andando a costituire quella complessa aggregazione di specie che rende oggi il Mediterraneo uno dei mari più biodiversificati al mondo. Ovviamente ciascuna specie ha trovato il suo habitat ideale in accordo con le proprie preferenze e le temperature superficiali caratteristiche delle diverse aree del bacino.
Attualmente il riscaldamento delle acque sta producendo interessanti modificazioni nella distribuzione delle specie risultante da questa lunga serie di eventi. Ecco alcuni esempi. Innanzitutto molte specie, tipicamente osservate nella porzione più meridionale del bacino, stanno ampliando la propria distribuzione risalendo verso latitudini maggiori: è il caso di numerosi pesci e anche di diverse specie di invertebrati che affidano i propri spostamenti alle stadi larvali natanti.
Negli ultimi trentanni il pescato della tonnarella di Camogli, all’estremo nord del Mar Ligure, ha totalmente cambiato la tipologia delle catture dove gli sgombriformi (sgombri, palamite e boniti) ad affinità fredda, sono stati sostituiti dai carangidi (ricciole, lecce e sugarelli) tipicamente ad affinità calda. In altri casi alcune specie, prevalentemente di invertebrati, hanno approfondito la propria distribuzione batimetrica andando alla ricerca in profondità di acque più fresche. I subacquei di lungo corso sanno benissimo che, nelle acque di Portofino, per poter godere delle grandi praterie di gorgonie che un tempo si trovavano abbondanti attorno ai 25 m, bisogna ora scendere almeno 10 m più in basso.
Anche da noi, comunque ci sono ambienti che ospitano organismi meno fortunati. Un caso emblematico riguarda il Golfo di Trieste, uno delle zone più studiate del Mediterraneo, in gran parte grazie al fervore e alla passione di studiosi di lingua tedesca. Questa è l’area in cui le acque del Mediterraneo raggiungono le temperature più basse a causa dei venti catabatici di origine nord-orientali che insistono sulla zona. In questa area così particolare hanno trovato l’estremo rifugio alcune delle specie più amanti delle acque fredde dell’intero Mediterraneo. È il caso della quercia di mare, Fucus virsoides, le cui distese fanno assomigliare la zona di marea del Golfo di Trieste agli stessi ambienti delle coste del Mare del Nord.
Organismi come il Fucus non possono sfuggire il riscaldamento migrando verso Nord perché già si trovano sul fondo di un sacco all’estremità settentrionale del bacino. Anche la discesa in profondità è impossibile sia per la carenza di luce ma, soprattutto per l’esigua profondità dell’Adriatico Settentrionale. In queste condizioni l’habitat di questa specie si sta riducendo e, continuando in questa direzione, potrebbe letteralmente estinguersi coinvolgendo nel fenomeno un gruppo di organismi unici delle nostre acque.
Ovviamente non possiamo fare nulla per impedire che tutto questo accada ma certamente abbiamo la straordinaria opportunità di studiare in diretta un fenomeno che certamente è già accaduto numerose volte nel corso della storia del nostro pianeta. Finora abbiamo potuto descrivere questi processi tramite lo studio dei fossili, ora possiamo farlo seguendo in continuo l’evoluzione della distribuzione degli organismi viventi.