Se svolgessimo un sondaggio tra gli astronomi chiedendo quale sia l’osservazione fondamentale che ha segnato la nascita della cosmologia moderna, probabilmente tutti risponderebbero citando la scoperta dell’espansione dell’universo, solitamente attribuita all’astronomo statunitense Edwin P. Hubble. L’anno è il 1929, quando Hubble formulò una relazione lineare empirica tra il redshift (lo spostamento verso il rosso dello spettro) delle galassie e la loro distanza. Ribattezzata più tardi “legge di Hubble”, questa relazione mostra che le galassie si allontanano con una velocità tanto maggiore quanto più sono distanti. Tale comportamento, non riconciliabile con un modello di universo statico, è invece descrivibile assumendo l’espansione dell’universo: la sua evidenza, di fatto, ha aperto la strada alla teoria del Big Bang e in generale a tutta la cosmologia moderna. Proprio questa eccezionale scoperta si è recentemente trovata al centro di un vero e proprio “giallo” scientifico, che è stato finalmente chiarito grazie a un articolo di Mario Livio (astronomo presso l’Hubble Space Telescope Institute di Baltimora) apparso sull’ultimo numero di Nature.
Già da qualche anno, alcuni storici hanno mostrato che Hubble non fu il primo a notare la relazione tra la velocità di recessione delle galassie e loro distanza: nel 1927 il fisico e astronomo belga (e sacerdote cattolico) Georges Lemaître aveva pubblicato sulla poco nota rivista Annales de la société scientifique de Bruxelles un articolo dal titolo “Un universo omogeneo di massa costante e di raggio crescente, tenendo conto della velocità radiale delle nebulose extra-galattiche”. Nell’articolo egli presentò una soluzione alle equazioni della relatività generale di Einstein per un universo omogeneo e in espansione, gettando le basi teoriche della cosmologia moderna e prevedendo la suddetta relazione tra velocità e distanza. Ma Lemaître andò oltre la speculazione matematica: utilizzando dati già disponibili nella letteratura scientifica, verificò empiricamente la relazione e misurò per primo il tasso di espansione dell’universo. Tuttavia, egli stesso commentò che l’accuratezza delle misure utilizzate non era sufficiente per accertare la validità della relazione.
È possibile che Hubble due anni dopo non fosse a conoscenza del risultato di Lemaître: la rapidità con cui si diffondevano i risultati scientifici in quegli anni non era certo paragonabile a quella attuale. Inoltre, il fatto che l’articolo originale di Lemaître fosse in francese e pubblicato su una semi-sconosciuta rivista belga non contribuiva certo alla sua diffusione. Tuttavia, sulla base di questa ricostruzione sarebbe corretto riconoscere a Lemaître la scoperta dell’espansione dell’universo e al successivo lavoro di Hubble la dettagliata conferma della legge di tale espansione.
All’osservatorio di Mt. Wilson (California) Hubble aveva potuto utilizzare il più grande telescopio allora esistente che gli aveva permesso di distinguere le singole stelle delle galassie osservate e tra queste alcune “Cefeidi”, una classe di stelle variabili dal cui periodo può essere ricavata la luminosità assoluta e quindi la distanza. Grazie all’utilizzo di queste “candele standard” (tuttora uno dei metodi più precisi per misurare le distanze celesti), Hubble poteva disporre di misure più accurate che gli hanno permesso di evidenziare senza ambiguità la relazione tra velocità e distanze.
Qui il mistero s’infittisce e la vicenda si tinge di “giallo”. Infatti, nel 1931 gli editori della prestigiosa rivista inglese “Monthly Notices of the Royal Astronomical Society”, chiesero a Lemaître di pubblicare una traduzione inglese dell’articolo del 1927. Ma stranamente in questa traduzione scomparvero alcuni paragrafi rispetto all’originale francese: proprio quelli in cui lo scienziato belga descriveva la sua misura della legge di Hubble. Chi ha tradotto il testo originale e perché ha omesso proprio quei paragrafi?
Alcuni articoli pubblicati quest’anno hanno sollevato il dubbio che i paragrafi siano stati omessi volontariamente per assicurare il primato della scoperta a Hubble e persino che l’influente astronomo statunitense abbia avuto un ruolo attivo in una vera e propria opera di censura scientifica. Per risarcire Lemaître del clamoroso “scippo” è anche partita una campagna per dedicare all’astronomo belga uno dei telescopi che saranno costruiti nei prossimi anni (magari l’europeo ELT, Extremely Large Telescope), bilanciando in tal modo l’intitolazione a Hubble del telescopio spaziale della Nasa che da vent’anni ci invia le meravigliose immagini dell’universo.
Ora l’articolo di Livio ha finalmente fatto chiarezza e indicato un “colpevole” inaspettato: Lemaître stesso! Ciò risulta evidente dalla lettera originale allegata alla traduzione del manoscritto, ritrovata da Livio nell’archivio della rivista inglese, dove l’astronomo-sacerdote scriveva: «Apprezzo molto l’onore che mi è reso dalla ristampa del mio articolo del 1927 ad opera della Royal Astronomical Society. Le spedisco una traduzione dell’articolo. Non ho ritenuto opportuno ristampare la provvisoria discussione sulle velocità radiali che non è chiaramente d’interesse attuale e la nota geometrica che potrebbe essere sostituita da una breve bibliografia di articoli vecchi e nuovi». Questa lettera mette chiaramente fine alle speculazioni su chi aveva cancellato i paragrafi: fu Lemaître stesso a ritenere superfluo riportare i suoi tentativi di verificare l’espansione con la velocità di recessione delle galassie. Egli sapeva, infatti, che Hubble aveva ottenuto dati migliori (soprattutto per le stime delle distanze) di quelli che lui stesso aveva potuto utilizzare e che, come aveva correttamente commentato nell’articolo originale, non gli permettevano di confermare la presenza della relazione. Per questo motivo probabilmente decise di omettere nella traduzione quella che riteneva una discussione “provvisoria” e i relativi commenti.
La lettera “scagiona” dunque Hubble dall’accusa di censura: in un ipotetico processo di onestà scientifica egli dovrebbe sicuramente essere considerato innocente. Inoltre, restituisce dignità alla figura scientifica di Hubble, cui va sicuramente riconosciuto il merito di aver compiuto le osservazioni decisive per la scoperta senza ambiguità della legge che prende il suo nome.
Oltre a chiarire il “giallo”, la lettera mette anche in luce la grande personalità scientifica e umana di Lemaître. Egli non sembra assolutamente interessato a vedere riconosciuto il primato della sua scoperta, piuttosto è desideroso di andare avanti con le sue ricerche, tanto che in un passaggio successivo chiede di poter presentare sulla rivista inglese alcuni nuovi risultati (poi effettivamente pubblicati).
Questo atteggiamento di amore alla verità più che a se stessi è una grande lezione che Lemaître lascia non solo agli astronomi ma a tutti gli uomini di oggi. Non quindi per bilanciare uno “scippo” ma per onorare la grande figura scientifica e umana di un padre della cosmologia moderna, sarebbe certamente opportuno dedicargli una delle prossime imprese scientifiche che l’umanità si appresta ad affrontare.