Non c’è bisogno di spiegare che l’acqua è importante; e non è certo qualcosa che si chiede a un astronomo. L’acqua è un fattore a cui siamo talmente abituati che diventa persino scontata, tranne quando ci crea disagi. Eppure, anche un bambino saprebbe dire cosa c’è che non va, se gli fossero mostrati gli scenari che si aprono ai nostri occhi quando li puntiamo verso gli altri pianeti del nostro Sistema Solare: “Dove sono gli alberi, il mare, i prati verdi e il cielo azzurro, le pozzanghere e le nuvole?”, direbbe. Deserti silenziosi, ecco come ci appaiono i pianeti di cui riusciamo a vedere una superficie solida, i nostri vicini Mercurio, Venere, Marte. Spingendoci più lontano, anche nei centinaia di pianeti recentemente scoperti attorno ad altre stelle (i pianeti “extra-solari”) non riusciamo a trovare caratteristiche simili alla Terra; in particolare, la presenza di acqua, che nello stato liquido, solido e gassoso permette alla vita di esistere.
È ancora presto per escluderne (o confermarne) la presenza ma certamente, dopo aver dato uno sguardo in giro nello spazio, l’acqua non è più tanto scontata e diventa sorgente di sorprese. Come mai la Terra ne ha in tale abbondanza? Da dove e in che modo essa si è resa presente sul nostro pianeta? Provocati da queste domande, astronomi di tutto il mondo si sono mobilitati a cercare nell’universo tracce che possano svelare l’origine dell’acqua.
Da buoni investigatori, la prima cosa da fare è recarsi sul luogo del mistero a caccia di indizi. Ma se il luogo in questione è lo spazio interstellare si rendono necessarie alcune modifiche ai metodi di Sherlock Holmes: la lente di ingrandimento può ancora andare (basta ingrandirla un po’), mentre a una passeggiata col dottor Watson sul luogo del delitto bisogna sostituire una enorme serie di strumenti sofisticati che ci permettano di analizzare in grande dettaglio il “messaggero” che riceviamo da lontano: la luce.
La luce è un preziosissimo portatore di informazioni sui luoghi che l’hanno prodotta e su quelli che ha attraversato durante il suo viaggio per giungere fino a noi. Soprattutto quando viene scomposta nelle sue componenti a diversa energia (lo “spettro”), nella stessa maniera in cui la luce bianca può essere scomposta nei vari colori dell’iride. Atomi e molecole producono nello spettro della luce delle tracce molto particolari e definite che permettono agli astronomi di determinarne la presenza e le caratteristiche. Anche l’acqua – allo stato gassoso o solido – viene trovata nello spazio attraverso le tracce inconfondibili che produce nella luce.
Pochi anni fa alcuni astronomi americani hanno fatto una scoperta sensazionale, resa nota nel 2008 con un articolo su Science. Dal 2003 lo Spitzer Space Telescope, satellite che osserva la radiazione infrarossa, veniva utilizzato per studiare l’emissione dei dischi circumstellari (vedi i precedenti articoli di Luca Ricci su queste pagine), i sistemi di gas e polvere che vengono comunemente trovati attorno a stelle in formazione e dove si crede che anche i pianeti possano formarsi. La polvere produce nello spettro della luce tracce molto più estese rispetto a quelle prodotte dal gas ed è perciò più facile da trovare. Inizialmente gli astronomi si sono focalizzati su tali tracce estese, pur incontrando un fastidioso “rumore” che rendeva difficili le loro misure. Per dare l’idea, è come se, volendo tracciare una riga diritta, ne facessimo una fittamente segmentata che ne segue la direzione ma confonde le nostre intenzioni.
Ci è voluto un po’ di tempo perché ci si accorgesse, anche con un po’ di imbarazzo, che ciò che da anni si tentava di sopprimere non era esattamente “rumore”: erano centinaia di sottili tracce lasciate nello spettro della luce dal vapor d’acqua! Dal quel momento, con intensa attività, astronomi americani ed europei hanno rianalizzato tutti gli spettri ottenuti dal satellite Spitzer e sono giunti a un’impressionante conclusione: c’è moltissima acqua nelle zone più interne dei dischi circumstellari, proprio dove si crede che i pianeti si possano formare. Acqua abbondante e diffusa, in quantità fino a migliaia di oceani terrestri. La ricerca dell’origine dell’acqua è oggi al suo apice storico. Basti pensare alle recenti missioni delle agenzie spaziali Esa e Nasa nel lancio congiunto dei satelliti Herschel e Planck nel 2009. Herschel è stato progettato propriamente per avere una vista finissima che possa distinguere in gran dettaglio le sottili tracce spettrali dell’acqua. I risultati prodotti finora hanno già confermato l’importanza della missione, dando nuovo impulso alla ricerca.
Ora molte domande attendono risposta. Dove, come e quando si forma l’acqua che vediamo nello spazio? Che ne è di tutta l’acqua che troviamo nei dischi circumstellari? Verrà assorbita da pianeti in formazione o è destinata a disperdersi nello spazio? Cosa permette ai pianeti di riceverne in quantità sufficienti per lo sviluppo della vita? Come, nel nostro caso particolare, è giunta l’acqua sulla Terra?
In attesa di nuove scoperte possiamo guardare fuori dalla finestra e goderci lo spettacolo di una montagna innevata di fresco o di un torrente che attraversa un bosco colorato dall’autunno, e stupirci ancora che almeno qui, su questa Terra, l’acqua c’è.