La presentazione ufficiale al Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano del libro, Guido Ucelli di Nemi, industriale, umanista, innovatore uscito da poco presso Hoepli, è stata un’occasione privilegiata non solo per rinverdire la memoria di un personaggio che ha fatto tanto per la città di Milano, ma anche per “fare un ripasso” su tante vicende belle e drammatiche del XX secolo. Guido Ucelli era un milanese d’adozione, provenendo da una famiglia piacentina della piccola borghesia. Nel 1909, dopo la laurea in Ingegneria elettrotecnica al Politecnico di Milano, aveva iniziato a lavorare alla “Riva”, guadagnando rapidamente la fiducia di Alberto Riva, il fondatore di questa storica azienda milanese che tanta parte ebbe nello sviluppo della industria idroelettrica italiana. Ascendendo rapidamente nei ranghi aziendali, nel 1915 Ucelli era entrato nel Consiglio di amministrazione e ne era divenuto vicedirettore generale, assumendo di fatto la responsabilità della gestione industriale e della definizione delle strategie di sviluppo dell’impresa, ai vertici della quale sarebbe rimasto ininterrottamente fino alla fine degli anni Cinquanta.
Alla guida suprema delle “Riva”, dopo la scomparsa (1924) del suo fondatore, Ucelli fu il fautore dell’allargamento della base societaria dell’impresa, con l’ingresso di capitali provenienti dalle principali imprese elettriche italiane, e dell’accordo che sancì la fusione con l’impresa bolognese “Calzoni”: azioni che portarono rapidamente l’azienda, grazie anche alla totale riorganizzazione interna intrapresa da Ucelli, al predominio sul mercato italiano dei grandi macchinari idraulici e a significative affermazioni anche nei mercati internazionali, predominio che si confermò con decisione anche nel Secondo dopoguerra.
Ucelli non era però un personaggio che limitasse i suoi interessi ai soli ambiti aziendali. Giorgio Bigatti, brillante autore di uno dei saggi del libro, avanza anzi l’ipotesi che la “ritrosia” con la quale egli accettò il riconoscimento dei suoi indubbi meriti aziendali fosse il segnale che «Ucelli considerasse riduttivo rispetto alla ricchezza dei suoi interessi, essere identificato con la Riva, al cui sviluppo pure aveva dedicato la vita». Egli non fu in effetti un industriale alla vecchia maniera, tutto chiuso nella sua fabbrica e, se pur nei suoi orizzonti mancò sempre un impegno politico diretto, grandi furono i suoi interessi culturali: da quelli coltivati più a livello di “hobby di alto livello”, quali il cinema e la fotografia, a quelli che lo videro portare a termine grande imprese come il recupero delle navi romane del lago di Nemi (per la quale ricevette il titolo di conte di Nemi) e la fondazione del museo milanese.
Veniamo dunque a qualche breve accenno alle vicende che portarono alla istituzione di questo museo, che rimane tutt’oggi, dopo una vasta azione di rinnovamento intrapresa nell’ultimo decennio, il più importante riferimento italiano (insieme al Museo Galileo di Firenze) per la storia della scienza, della tecnica e dell’industria, e un fondamentale luogo di educazione dei giovani alla scienza e alla tecnologia, visitato ogni anno da più di 400.000 persone. Come Ucelli stesso racconta, la prima idea di un museo industriale nazionale gli era venuta nel 1906, ancora da studente, nell’anno in cui la città aveva sperimentato il fascino e i fasti della prima esposizione universale.
Non si trattava, a dir la verità di un’idea nuova, in quanto le nazioni che avevano preceduto l’Italia nel processo di industrializzazione si erano già dotate di simili istituzioni. A Parigi il Conservatoire des Art set Métiers era stato fondato nel 1794; a Londra il South Kensington Museum, poi Science Museum, era attivo dal 1857; a Monaco di Baviera il Deutsches Museum, fondato nel 1903, aveva addirittura identificato nel suo nome (Museo dei Tedeschi) spirito tecnico e spirito nazionale germanico.
L’idea era circolata anche in Italia tanto che, come ricorda Bigatti, nel 1908 il prof. Belluzzi del Politecnico, «si era fatto banditore di una pubblica conferenza dell’istituzione di un Museo Industriale». I tempi non erano evidentemente ancora maturi, ma l’idea rimase nell’aria e nel cuore di Ucelli, il quale, ormai affermato capitano d’industria, dal momento in cui il podestà di Milano, nel 1930 lo chiamò a presiedere una commissione incaricata di studiare l’ipotesi di istituire in città un Museo Industriale, fece diventare il museo uno degli obbiettivi primari della sua vita. E fu uno di quelli su cui dovette più lottare, se l’inaugurazione del primo nucleo del museo milanese, complice anche il drammatico periodo, poté avvenire solo quasi un quarto di secolo dopo, nel 1953. Non abbiamo qui spazio per narrare le vicende di quel lungo, salvo ricordare che il travaglio della istituzione del museo si ripercosse anche nella decisione sul nome da dargli, che da Museo Industriale, passò a Museo delle Arti e dell’Industria, per approdare infine a Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia “Leonardo da Vinci” nel 2000.
Guido Ucelli morì nel 1964, un anno e mezzo dopo la sua amatissima Carla, la cui dipartita lasciò un vuoto incolmabile nella sua vita. Di due delle tre grandi imprese della sua vita il tempo ha fatto scempio (le navi di Nemi andarono distrutte durante la guerra, la “Riva”, come altre storiche imprese industriali italiane, non esiste più), ma il Museo resta. Il tributo, che a quasi cinquant’anni dalla morte, il libro della Hoepli accorda a questo grande milanese è anche una bella testimonianza su come la tenacia dei nostri nonni e bisnonni abbia fatto progredire il nostro paese fra le vicende drammatiche del Novecento: insomma un libro da leggere e una bella lezione di fiducia per chi avverte il peso dell’attuale periodo di crisi.