“Un imprevisto/ é la sola speranza. Ma mi dicono/ che è una stoltezza dirselo”. Così Eugenio Montale causticamente chiude la sua ”Prima del viaggio”, costringendo il lettore a rivedere quell’aspetto di necessaria attenzione che va posta quando si prepara un viaggio. La speranza che il viaggio sia significativo -ci dice Montale- sta nell’imprevisto, non nella sua perfezione organizzativa, che pure è necessaria perché il viaggio si faccia.



Allo stesso modo anche l’attività di ricerca necessita di passi ben studiati e misurati, di preparativi meticolosi e precisi. Ma capita, a volte, che i passi avanti nella conoscenza della realtà siano frutto di avvenimenti imprevedibili o comunque molto poco probabili, più che della nostra capacità previsionale. Per riprendere le parole del poeta, alcuni passi avanti nella comprensione del mondo dipendono da avvenimenti che sarebbe quasi da stolti aspettarsi.



Una recente scoperta in ambito geologico deve molto a questo carattere di imprevedibilità. La scoperta non ha certo il peso della famosa scoperta della penicillina da parte di Ian Fleming, ma il modo attraverso cui è avvenuta ricorda la vicenda del famoso Premio Nobel scozzese. Anche qui abbiamo una caratteristica inaspettata rilevabile solo da un occhio attento e scientificamente preparato, e l’accadimento di un fenomeno casuale ma determinante per confermare la correttezza dell’ipotesi formulata a spiegazione della particolarità osservata.

Alcuni mesi fa, il geologo Jay Quade, dell’università dell’Arizona, si trovava con i colleghi Peter Reiners e Kendra Murray sull’altopiano desertico di Atacama, in Cile. Per la sua insistenza, il trio ha deciso di fermare l’autocarro sul quale viaggiavano in una piana senza vita ricoperta di pietre, già attraversata in precedenza, ma non ritenuta degna di alcunché di interessante.



Quade, dopo aver fatto fermare il mezzo, decide di starsene seduto all’interno, per ripararsi dal sole, mentre i due colleghi iniziano qualche giro di osservazione. È proprio in questo momento che l’occhio di Quade scopre qualcosa di inaspettato: i profili dei massi vicini al camion sono smussati e lisci, come le pietre nei fiumi. La cosa è molto strana: il luogo in cui si trovano è uno dei più aridi al mondo e non c’è alcuna possibilità che grandi quantità d’acqua abbiano in passato levigato quelle pietre, massi che vanno da mezza a quasi dieci tonnellate. L’unica possibilità per spiegare quello che vede, Quade la trova nei movimenti terrestri: ripetuti terremoti di medio-alta intensità potrebbero aver costretto le pietre nella valle ad avvicinarsi, gradualmente entrare in collisione e levigarsi “strofinandosi” l’una contro l’altra. Questa però è solo una ipotesi, ragionevole, ma non provabile.

L’intuizione però non ha abbandonato la mente di Quade, che si ritrova qualche settimana dopo nello stesso punto, su una di quelle grandi rocce, ad arrovellarsi ancora intorno allo stesso problema. Ed ecco che, per una strana congiuntura cosmica, il geologo si trova improvvisamente nel bel mezzo di un importante fenomeno sismico.

Il terremoto è di forza notevole, circa 5,3 gradi di magnitudo, e scuote le pietre adagiate nella vallata: «il suono era tremendo, come il rumore di migliaia di piccoli martelli», racconta Quade, che nel frattempo si doveva tenere aggrappato al suo masso, «la roccia sulla quale mi trovavo girava come una trottola e rimbalzava contro un’altra roccia. Temevo di cadere e venire schiacciato». Dopo essere riuscito a mantenersi sulla cima del masso, Quade si è convinto della bontà della sua ipotesi riguardante la levigatura dei massi: «sono rimasto stupito quando questo terremoto è arrivato e ci ha mostrato che effetti poteva creare».

Ma un terremoto al massimo di qualche minuto basta per giustificare la levigatura di massi così grandi? I geologi stimano quei massi essere nella vallata da uno o due milioni di anni. Questo periodo di tempo, combinato con il fatto che in quell’area si registra in media un terremoto di una certa entità ogni quattro mesi, suggerisce che in media ogni masso ha sperimentato dalle 50.000 alle 100.000 ore di scontri e trituramento.

«Questo processo risponde a un mistero che mi ha divorato per anni: come fanno i massi a essere trasportati lontano dalle colline quando c’è così poca pioggia?», si chiede Quade, «come potresti erodere un certo paesaggio di una regione nella quale non piove mai?». La risposta è la medesima: attività sismica. «Ma questo mi fa venire in mente pianeti come Marte. Potrei prevedere che lo stesso tipo di “folla” di massi possono essere trovati su Marte, se la gente li cercasse».