Il vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile svoltosi a Johannesburg nel settembre del 2002, fra i vari obiettivi, prevedeva una riduzione significativa della perdita di biodiversità entro il 2010. Purtroppo però, a un anno di distanza, possiamo dire che siamo ancora molto lontani dall’obiettivo prefissato. In primo luogo perché la Convenzione non ha imposto ai Paesi di stilare un rapporto scientifico sullo stato della propria diversità biologica e sulle misure da adottare per preservarla in modo sostenibile; in secondo luogo perché non ha previsto un efficiente sistema di sorveglianza e monitoraggio ambientale. Ed ecco che oggi, nel 2011, sono ancora molte le minacce alla biodiversità. Sovrappopolazione umana, antropizzazione e sfruttamento delle risorse naturali sono solo alcune delle minacce a livello mondiale per la biodiversità.
Alcuni esempi storici resteranno emblematici della distruzione della biodiversità.
Uno è quello che si è verificato nel 1950 in Africa. Il persico gigante del Nilo (Lates niloticus) è stato introdotto nel lago Vittoria nel tentativo di accrescere la pescosità. Questo vorace predatore ha fortemente ridotto la popolazione di ciclidi ed ha avuto come risultato l’estinzione di molte specie. In assenza dei ciclidi che si nutrivano di alghe, ci fu una crescita esponenziale delle medesime. La successiva morte e decomposizione delle alghe ha determinato un completo depauperamento delle riserve di ossigeno del lago. Per rendere il quadro ancora più fosco, i pesci persici catturati avevano carni troppo grasse e dovettero essere essiccati; così i  pescatori, per affumicare il pesce, utilizzarono il legname delle foreste circostanti, che furono anch’esse depauperate. Questa pratica ha determinato una sconvolgente deforestazione intorno al lago Vittoria e il conseguente dilavamento del suolo ha causato ulteriori danni.
Gli equilibri ecologici, come noto, sono oggetto di grave preoccupazione non soltanto nei grandi laghi africani, ma nell’intero pianeta. Moltissimi altri esempi di depauperamento delle risorse possono essere elencati. Primo tra tutti il Dust Blow (1930-1936); negli Stati Uniti la trasformazione sfrenata dei suoli in ambienti agricoli sommata a una mancata rotazione dei campi, ha prodotto una desertificazione fino al 1940.
In Asia centrale invece, il lago d’Aral, è stato fortemente ridotto a seguito di una trasformazione di quest’area in una piantagione di cotone. Le acque del lago, utilizzate per la coltivazione del cotone, si ridussero notevolmente; ci fu una totale sparizione della fauna ittica a partire dagli anni ’40 e la conseguente formazione di una zona acquitrinosa. Si decise allora di trasformare il tutto in una risaia, ma ciò non avvenne per l’eccessiva evaporazione e si formarono aree sovra salate. Inoltre i pesticidi usati per favorire lo sviluppo delle risaie causano danni ambientali e malattie polmonari alle popolazioni limitrofe. E come se non bastasse, il suolo divenne infertile, e la polvere salata e inquinata venne distribuita sulle aree circostanti.



Altro esempio di distruzione della biodiversità è dato dal crollo del pescato e di tutte le industrie di frutti di mare degli Stati Uniti attribuibile alla pesca intensiva dei grandi squali. Ransom Myers e i ricercatori della Dalhousie University ad Halifax, in Canada, hanno osservato 17 rilevamenti marini condotti lungo la costa est degli Stati Uniti tra il 1970 e il 2005, studiando la fluttuazione delle popolazioni di squali. L’assenza di predatori ai vertici della catena alimentare, ha portato un aumento esponenziale dei predatori intermedi, come per esempio la razza Rhinoptera bonasus, che ha esercitato una forte pressione sulle popolazioni di mitili della zona. Un effetto a cascata responsabile del crollo di tutte le attività di pesca di mitili.



Oggi la biodiversità è minacciata non solo dalla pesca intensiva, dal surriscaldamento delle acque e dal conseguente sbiancamento delle barriere coralline – inestimabili “hotspots” di biodiversità – ma anche dal cambio indiretto dell’uso dei suoli, dalla deforestazione delle foreste primarie e dal conseguente rilascio di anidride carbonica in atmosfera.

La storia ci insegna a non commettere gli errori del passato. Il 2010 è stato dichiarato Anno Internazionale della Biodiversità, ma ancora oggi le aree marine rimangono protette solo sulla carta e i monitoraggi ambientali affidati a biologi e naturalisti sono insufficienti. Forse dovremmo riflettere su quanto consiglia la IUCN (Unione Mondiale per la Conservazione della Natura): investire nelle aree protette perché esse aiutano l’umanità a fronteggiare i cambiamenti climatici, stabilizzando i suoli, proteggendo le coste e costituendo uno scrigno della biodiversità naturale del Pianeta.



“La Terra non è un dono dei nostri genitori, ma un prestito dei nostri figli”, recita un proverbio indiano. Non dimentichiamolo.