Non è da tutti vincere un Nobel. Ancora meno vincerne due. Marie Curie (il cui vero nome era Maria Sklodowska), di cui oggi ricorre l’anniversario della nascita, riuscì nell’eccezionale impresa. Nata a Varsavia il 7 novembre del 1867, si aggiudicò il primo, nel 1903, per la fisica e il secondo, nel 1911, per la chimica. «Oltre ad essere un personaggio determinante per le sue scoperte scientifiche, possiamo dire che fosse una prima donna. In senso letterale», afferma, raggiunto in esclusiva da ilSussidiario.net, Gianni Fochi, chimico della Normale di Pisa e autore di “Il segreto della Chimica” e di “Fischi per fiaschi nell’italiano scientifico” (Longanesi). Che, raccontando alcuni aspetti meno noti della sua vita, svela: «Nell’estate 1918 Marie Curie trascorse un paio di settimane in Italia su incarico del governo italiano. La radioattività era un argomento scientifico giovanissimo e lo stato italiano voleva capire cosa potesse tirare fuori dalle proprie sorgenti radioattive. Si appoggiò all’istituto chimico di Pisa, accompagnata da un allora giovane assistente che divenne, in seguito, fino al ’55, l’anima della chimica pisana, Camillo Porlezza».
Dalle sue testimonianze scritte scopriamo qualcosa di inedito sulla Curie: «Era di carattere estremamente schivo,  dedita esclusivamente al lavoro – racconta Fochi -. I suoi colleghi, durante il soggiorno in Italia, tentarono, per doveri di ospitalità, di portala all’opera, al teatro, a visitare la Città. Rispose che sarebbe venuta un’altra volta a fare la turista». Non era facile, del resto, per una donna, a quell’epoca, farsi strada nel mondo accademico. «Fu un prima donna nel senso che fu la prima a insegnare alla Sorbona di Parigi, la prima a vincere il premio Nobel, la prima a vincerne due e la prima a vincerli in due settori diversi». Schiva, ma amata da tutti. «Negli Stati Uniti, nel ’21, per trovare fondi per le sue ricerche sul radio, ottenne accoglienze trionfali». Venendo alla rilevanza delle sue ricerche, spiega: «Conseguenza dei suoi studi pioneristici sulla radioattività fu, anzitutto, la scoperta della sua pericolosità. Ai tempi chi la studiava vi si sottoponeva – e a quantità oggi impensabili – senza alcuna protezione. Non a caso la Curie morì nel ’33 di una grave anemia che derivò, sicuramente, dalle radiazioni assorbite». Il suo corpo era divenuto pericoloso: «quando nel ’55 le spoglie sue e di suo marito furono traslate nel Pantheon di Parigi, furono sigillate in casse di piombo. Mentre il suo ricettario di cucina e i suoi quaderni sono contenuti in contenitori di piombo e per essere consultati è necessario indossare indumenti protettivi». 
Durnte la prima guerra mondiale svolse un lavoro preziosissimo. «Istituì – continua Fochi – un servizio di radiologia da campo, montando su un furgoncino apparecchiature radiografiche. Istruì, inoltre, gli infermieri e i tecnici di radiologia per il soccorso dei soldati nelle vicinanze dei fronti di combattimento».  



Tra le sue scoperte più importanti, vi è di sicuro, infine, quella del radio e del polonio. «Lavorando, assieme al marito, su dell’uranio, notarono una radioattività troppo elevata per quel materiale. E, analizzandone tonnellate, riuscirono a isolare piccole quantità di . Il polonio fu chiamato così in onore della Polonia». Mentre, come riconoscimento delle sue imprese, «a Marie è stato dedicato il curio e la  sklodowskite, due minerali dell’Uranio, e l’unità di misura della radioattività, il curie».  

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