Una recente collaborazione fra il “Salk Institute for Biological Studies”  e la University of California sta cercando di far luce sui meccanismi mediante i quali una dieta ipocalorica adeguata (e che quindi non porti mai l’organismo a livelli di malnutrizione) sia connessa con la durata della vita e con la velocità di invecchiamento delle cellule staminali. Il Salk Institute(La Jolla, California) è un complesso di 60 laboratori che costituisce uno dei principali punti di riferimento al mondo nel campo della ricerca biologica di base e le cui principali aree di studio sono la biologia molecolare, la genetica, le neuroscienze e la biologia vegetale.
Lo studio in questione é stato condotto sulla Drosophila melanogaster, un piccolo moscerino della frutta, uno fra gli invertebrati più studiati al mondo nel ramo della genetica. Ma quali sono i motivi per cui un insetto apparentemente insignificante diventa uno degli “organismi modello” della ricerca genetica?
Di certo hanno avuto un peso considerevole la facilità di allevamento in laboratorio, l’elevata capacità riproduttiva e il suo breve ciclo vitale (poche settimane), caratteristica questa che consente di osservare in tempi rapidi le conseguenze di una manipolazione genetica sia sugli individui manipolati che sulle generazioni successive. Ma la caratteristica che ha fatto cadere la scelta dei ricercatori proprio sulla Drosophila é senza dubbio l’elevato numero di somiglianze fra l’intestino di questo insetto e l’intestino tenue umano.
Un team di ricercatori dell’istituto si é quindi dedicato allo studio delle cellule staminali dell’intestino di Drosophila e ha scoperto che, modificando leggermente la molecola PGC-1 (molto simile alla PGC-1 umana), si verifica un rallentamento nell’invecchiamento dei tessuti intestinali con conseguente allungamento della vita dell’animale di oltre il 50%.
Il PGC–1 è un co-attivatore, ossia una proteina deputata alla regolazione dell’espressione genica. In altre parole si tratta di una molecola che agendo sul DNA, lo induce a variare l’intensità di una determinata attività da questo controllata. Nel caso specifico, l’alterazione del PGC–1 lo rende più “reattivo” incrementando così la produzione di mitocondri (le “centrali elettriche” delle cellule).
I mitocondri, piccole strutture a forma di fagiolo ospitate all’interno delle cellule, convertono i carboidrati e i grassi nell’energia necessaria all’organismo per espletare tutte le sue funzioni vitali. Un aumento nel numero di mitocondri comporta quindi una maggiore produzione di energia.



I risultati di questo studio hanno subito fatto pensare a una connessione col “Calorie Restriction” (CR), un regime dietetico ipocalorico noto da ormai molti anni che in alcuni casi ha portato addirittura a un raddoppiamento della durata della vita negli animali in esame.
Gli effetti di tale dieta sono più facilmente osservabili nelle specie con aspettativa di vita più breve (ad esempio in Drosophila), mentre le ripercussioni su animali più longevi sono ancora in fase di studio. È tuttavia appurato che la riduzione nell’assunzione di calorie costituisce senza dubbio uno fra i metodi più efficienti nell’allungare la durata della vita media e nel rallentare il processo di invecchiamento in un cospicuo numero di animali.
Anche se le cause primarie di questo meccanismo biologico sono tuttora poco chiare, i ricercatori hanno però notato che sia le cellule degli animali con PGC-1 modificato, sia quelle degli animali sottoposti alla particolare dieta presentano un numero di mitocondri insolitamente elevato. Sembra quindi che anche il regime dietetico ipocalorico determini un incremento nell’attività del PGC-1, con conseguente miglioramento delle condizioni generali dei tessuti intestinali e con ripercussioni positive su tutto l’organismo.

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