La storia dello sviluppo delle conoscenze scientifiche mostra con evidenza che per osservare cose nuove e comprendere sempre più in profondità il mondo che ci circonda servono due “ingredienti”: da un lato l’interesse, dall’altro le competenze tecniche e teoriche. La storia della scienza è piena di esempi in questo senso. Galileo, con il suo cannocchiale, ha fatto compiere il passo decisivo verso la scienza moderna proprio grazie a questo intreccio fra interesse e capacità tecnologica.
Ciò che caratterizza gli strumenti di osservazione del cielo è la loro sensibilità, cioè la capacità di cogliere un segnale, per quanto debole sia, e la capacità di risolvere l’immagine, cioè l’abilità di cogliere la distanza fra due oggetti ravvicinati: tale capacità è inversamente proporzionale alle dimensioni del telescopio e direttamente proporzionale alla lunghezza d’onda del segnale osservato. A parità di lunghezza d’onda osservata e di sensibilità, perciò, maggiore è il telescopio, minore è l’angolo risolvibile, cioè minore è la distanza minima misurabile fra due oggetti ravvicinati. Un telescopio più grande “vede” perciò meglio dettagli minuti rispetto a uno più piccolo.
Nel XX secolo sono nate diverse “astronomie”, a seconda della lunghezza d’onda alla quale si scandaglia il cielo: la prima nata al di fuori dell’astronomia “canonica”, cioè quella nell’ottico, è la radioastronomia, che investiga il cielo alle lunghezze d’onda delle onde radio, cioè radiazione con lunghezze d’onda fra i millimetri e i chilometri. È questo il motivo per cui i radiotelescopi, per ottenere una buona risoluzione angolare, devono avere dimensioni molto grandi. Ma quanto ci si può spingere nella fabbricazione di radiotelescopi sempre più grandi? Il più grande radiotelescopio al mondo si trova ad Arecibo, nell’isola di Puerto Rico, e si appoggia su un avvallamento naturale che sostiene il peso dei suoi 300 e più metri di diametro.
Nessuno ha mai pensato di andare oltre, perché giganti metallici di questo tipo si deformano sotto l’effetto del loro stesso peso. Negli anni ’70, però, venne messa a punto una tecnica che ha permesso di fare enormi balzi in avanti: l’interferometria astronomica. In pratica questa tecnica permette di considerare le osservazioni raccolte da due o più telescopi come “sorgenti” per ricreare l’immagine di un telescopio virtuale più grande, e perciò con un potere risolvente più grande.
Alla messa a punto di questa tecnica è corrisposta la costruzione di radio-osservatori costituiti da batterie di parabole radiotelescopiche, come il Very Large Array (), nel New Mexico.
Il VLA, nato nel 1972, è composto da 27 parabole da 25 metri cadauna e nell’insieme riproduce il comportamento di un’immensa parabola di 36 km di diametro e dà una risoluzione di 0,4 arcosecondi, sufficienti per vedere una pallina da golf a 150 km di distanza.
La tecnologia e il desiderio di spingersi sempre oltre però non potevano certo lasciare inoperosa la comunità dei radioastronomi. Ed ecco che nel 1991 nasce un concept all’interno dell’URSI (l’Unione di tutti i radioastronomi) per un nuovo ed enorme interferometro. Nel 1993 sei paesi (USA, Olanda, Canada, Cina, India e Australia) danno vita a un gruppo di lavoro ufficiale per lo sviluppo di questo importante progetto. Ai sei “fondatori” si uniranno nel 2000 altri cinque paesi: Germania, Italia, Polonia, Regno Unito e Svezia. Dal 2008 è operativo un accordo di collaborazione internazionale per lo sviluppo del progetto SKA, Square Kilometer Array (http://www.skatelescope.org/): esso prevede la realizzazione di un interferometro composto da migliaia di radiotelescopi dislocati su un’area di diametro pari a circa 3000 km, che insieme corrispondono a un’area di raccolta di un chilometro quadrato (un milione di metri quadrati).
La recente riunione del consorzio ha stabilito che il prossimo anno verrà decisa l’area sulla quale costruire questo immenso osservatorio (se lo contendono Sudafrica e Australia), mentre nel 2016 verrà iniziata la sua costruzione. Per ora sette paesi, fra cui l’Italia, hanno sottoscritto un accordo per finanziare con 69 milioni di euro il progetto nella fase di progettazione finale. I costi per la realizzazione finale sono esorbitanti ed estremamente significativi se si considera il contesto economico nel quale il mondo si sta muovendo: si parla infatti globalmente di un investimento pari a circa 1,5 miliardi di dollari.
L’accordo ha portato alla creazione di una società non profit che avrà sede legale presso alcuni locali dell’osservatorio di Jodrell Bank, dove è situato il terzo più grande radiotelescopio al mondo (76 metri), interagirà formalmente con i partner internazionali e centralizzerà la guida dello SKA.
Il professor Richard Schilizzi, direttore a termine quest’anno del progetto, è entusiasta: «Siamo ansiosi di iniziare a raccogliere i frutti che questa nuova struttura porterà, non solo per il lavoro di sviluppo di ingegneria, ma al progetto nel suo complesso». SKA avrà una risoluzione angolare inferiore a 0,1 arcosecondi e quindi consentirà una nuova precisione nell’osservazione del cielo a radioonde, ma soprattutto permetterà che l’interesse verso il cielo possa giocarsi su un nuovo livello di capacità tecnologiche: grandi progetti come questi, infatti, sono una fonte di ricadute inesauribili per lo sviluppo di nuove conoscenze e di nuove capacità tecniche e consentono all’uomo di fare passi nuovi nei misteri del mondo che ci circonda. Ma non è tutto, perché le ricadute vanno ben al di là della conoscenza in sé e per sé: la progettazione, la costruzione e il funzionamento del progetto SKA avranno un forte impatto anche sull’occupazione e l’attività economica nei settori della scienza, dell’ingegneria, non solo per il paese ospitante, ma per tutti i paesi partner.