Ogni giorno il nostro pianeta è scosso da innumerevoli sommovimenti della crosta terrestre, alcuni impercettibili, altri enormi e distruttivi. Da quando la tettonica a zolle come meccanismo all’origine dei movimenti della crosta terrestre è diventata molto più di una ipotesi, è chiaro agli studiosi come gli eventi più catastrofici avvengano in corrispondenza delle linee di contatto fra due placche. È proprio lo scorrimento di due placche in sensi inversi ciò che provoca le immani tragedie di cui periodicamente il mondo è spettatore o vittima. I movimenti delle placche sono infatti lentissimi, e i materiali ai bordi di due placche adiacenti nel tempo tendono a unirsi sempre di più: proprio per questo, quando l’unione diventa molto forte anche l’attrito dovuto al crescere dell’età di contatto cresce, e con esse l’energia immagazzinata, che viene liberata in modo repentino e devastante. È in questi casi che si hanno i terremoti più gravi.
Eppure, anche se il meccanismo responsabile dei terremoti più distruttivi è abbastanza chiaro nelle sue linee macroscopiche generali, manca la conoscenza scientificamente dettagliata della sua origine. Non si sa infatti in che modo due corpi adiacenti stabiliscano un legame così forte da dover essere spezzato da una forza tanto distruttiva e di che tipo siano i legami che si stabiliscono fra materiali omologhi o differenti.
L’aiuto in questa ricerca è venuto da un gruppo di fisici e ingegneri meccanici, guidati da Robert Carpick del Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Scienze Applicate della Università della Pennsilvanya, dai due geologi della Brown University, Terry Tullis e David Goldsbye, e da Qunyang Li, Professore Associato alla Scuola Aerospaziale dell’Università di Tsinghua, Cina, che ha curato tutta la parte di modellizzazione e sperimentale. L’eterogeneità del gruppo è dovuta al fatto che i fisici e gli ingegneri si sono trovati a lavorare insieme dopo un incontro fortuito di Carpick con Tullis durante un convegno. È stato lì che si sono resi conto che le conoscenze di un gruppo potevano servire all’altro.
Quello che si conosce del fenomeno dell’aumento dell’attrito nel tempo è riassumibile in due immagini differenti del fenomeno: una quantitativa e una qualitativa. La prima si genera partendo dall’ipotesi che due corpi a contatto stabiliscano un legame uno con l’altro in punti a livello microscopico, e che questi legami siano innumerevoli; secondo questa ipotesi, perciò, la resistenza allo scorrimento crescerebbe perché cresce il numero di punti che si uniscono fra le due facce di due corpi a contatto. Nella seconda immagine, invece, si ipotizza che la resistenza cresca nel tempo perché cresce la forza dei legami microscopici che si stabiliscono.
Il gruppo dei meccanici-fisici possiedono infatti uno strumento di misura che si è rivelato perfetto per indagare a livello microscopico quello accade a due superfici che aderiscono l’una all’altra: il microscopio a forza atomica, che funziona come il braccio di un vecchio giradischi, con una sottilissima punta sensibile alle forze molecolari. L’esperimento condotto dal gruppo per studiare l’evoluzione temporale della connessione fra materiali, omologhi e non, ha portato a risultati molto interessanti. Invece di usare vere e proprie lastre di materiali, hanno realizzato una punta di silice del microscopio e l’hanno pressata a contatto con superfici di materiali diversi -silice, grafite e diamante- andando a verificare il grado di frizione che sperimentava nello scorrimento.
La scelta di diamante e grafite è stata non casuale: poiché sono materiali chimicamente inerti, ogni aumento di frizione con la punta di silice sarebbe dovuto a un aumento del numero di punti di contatto e non della forza del legame chimico. L’esperimento ha così evidenziato una differenza netta nell’aumento con il tempo della resistenza allo scorrimento, in quanto questo aumento si è potuto registrare solo nel caso silice su silice, mentre negli altri due casi l’attrito misurato risultava sostanzialmente invariato nel tempo.
«Se l’aumento dell’attrito nel tempo fosse dovuto all’espansione dell’area di contatto – commenta Li – si dovrebbe notare un comportamento analogo anche nei casi silice su diamante e silice su grafite. Si potrebbe vedere un maggiore aumento nel tempo con il diamante, poiché è più rigido, cosa che porterebbe a un lievemente maggior livello di stress sulla silice, causando una maggior deformazione sulla punta», ma questo non si è visto. Diamante e grafite si sono comportati allo stesso modo.
L’aumento dell’attrito nel tempo di silice su silice ha dovuto però conciliarsi con un ulteriore problema emerso: tale aumento infatti non si verifica agli stessi livelli nei casi macroscopici della sismologia. Perché? La soluzione sta nel fatto che non tutti i punti di contatti sono uguali. Due punti di contatto sulla stessa superficie vicini l’uno all’altro risentono della presenza l’uno dell’altro. Questo accoppiamento elastico implica che solo alcuni punti in un’area di contatto resisterà allo scorrimento alla sua migliore capacità e che alcuni inizieranno a scorre prima, altri dopo, ma molto difficilmente scorreranno contemporaneamente.
Il livello complessivo di resistenza dipende non solo dalla massima resistenza che ogni punto può fornire, ma anche dal ristretto numero di punti di contatto in grado di fornire tale resistenza. «Quando consideri molti punti – dice Carpick – tutti potrebbero avere questo effetto di invecchiamento, ma quando tenti di spezzarli, puoi notare come solo una piccola parte raggiunge quel livello così alto in ogni momento. Perciò c’è bisogno di un effetto molto grande sul singolo punto per ottenere un effetto modesto su scala macroscopica».
La conclusione è quasi profetica e in qualche modo testimonia un trend in atto nella scienza da diversi anni: la modellizzazione sulla base dei metodi usati in fisica di discipline differenti, come per esempio già accade in alcuni rami della biologia. «Se possiamo comprendere la fisica di base – dice infatti Tullis -, le equazioni basate su quella fisica potrebbero essere estrapolate e usate al di là dei confini del laboratorio; potremmo usarle con più confidenza in tutti i modelli di terremoti usati finora».