L’ingegneria genetica ha introdotto, in medicina e in altri settori (farmaceutica) innovazioni significative e fondamentali accettate dall’opinione pubblica. In contrapposizione la sua applicabilità, in ambito agricolo e di conseguenza alimentare, ha creato e genera ancora oggi molte perplessità, limitando la diffusione delle biotecnologie e l’acquisizione dei suoi vantaggi. Due sono le posizioni predominanti, nettamente contrapposte, sulla questione della produzione di piante e alimenti geneticamente modificati: una di accettazione e l’altra di rifiuto. Secondo Ronald J. Herring, sociologo americano della Cornell University di di Ithaca (New York), la difficoltà di accettare la manipolazione genetica in un organismo, in modo particolare nelle piante, è da attribuire alla modalità utilizzata nel divulgare le scoperte scientifiche e anche agli interessi politico – economici dei paesi industrializzati su quelli più poveri.



Herring ha lavorato molto sulle problematiche di adozione e rifiuto del progresso tecnologico, in particolare sul cotone transgenico in India. È andato direttamente sul posto, per cercare di capire cosa stava succedendo e ha studiato i movimenti di opposizione ma anche l’adozione entusiasta alle nuove tecnologie da parte dei piccoli coltivatori. Nel far questo ha messo a fuoco alcune domande e ha evidenziato alcune parole chiave, contenute nel titolo di un interessante rapporto pubblicato qualche anno fa su Nature Genetics (“Opposition to transgenic technologies: ideology, interests and collective action frames”) e riecheggiate in un recente incontro all’Università degli Studi di Milano. Come le idee acquistano potere? Perché l’opinione pubblica è favorevole all’ingegneria genetica in medicina, in farmaceutica, nell’industria e non nel cibo?  Perché è maggiormente condivisa la posizione di rifiuto su quella a favore?



La sua risposta è chiara: l’accettazione di tali tecnologie avanzate in medicina e in altri campi e non nell’agricoltura, è spiegata dal contenuto del messaggio diffuso dai mass media e dai movimenti sociali, come Greenpeace, e cioè che il cibo geneticamente modificato è pericoloso per la salute dell’uomo, sostenendo la sua tossicità, allergenicità e cancerogenicità.  

Perciò la domanda a cui bisogna rispondere, per capire meglio le finalità dell’ingegneria genetica in agricoltura e fare luce su alcuni aspetti specifici, è: “Cosa significa modificare geneticamente un organismo?”. La manipolazione genetica di un organismo, in particolare di una pianta, comporta l’inserimento nel suo genoma di geni esogeni, non posseduti, ma provenienti da altri esseri viventi (animali, batteri e virus), determinando nella pianta l’acquisizione di nuove caratteristiche (miglioramento genico della specie). Tutto ciò è possibile, poiché vengono superate le barriere riproduttive di incompatibilità usando non il metodo tradizionale dell’incrocio, ma quello di trasformazione cellulare. Le piante ottenute da queste manipolazioni sono definite transgeniche, tali tecnologie si basano sul DNA ricombinante (rDNA). 



È fondamentale la comprensione del perché la popolazione mondiale dovrebbe beneficiare dall’utilizzo delle biotecnologie in agricoltura, per andare verso la loro accettazione. Un aspetto importante è che le piante geneticamente modificate possono aumentare la loro produttività e adattabilità ai cambiamenti eco-ambientali. Un esempio riportato da Herring, che conferma la precedente affermazione, riguarda il notevole aumento produttivo  dei campi di cotone in India avvenuto in soli due anni, passando da una bassissima resa del raccolto alle attuali rese del 90%.

Perciò la necessità di andare verso un’agricoltura intensiva sia nei paesi ricchi sia in quelli poveri è doveroso, poiché le superfici arabili sono in diminuzione a causa della siccità, dell’alta salinità e della forte urbanizzazione. Oltre al fatto che in questi ultimi anni si coltiva non solo per uso alimentare, ma anche con la finalità di produrre biomassa, fondamentale per la generazione di biocarburanti (Bio-etanolo). C’è poi la grande questione della fame nel mondo che, secondo Herring, potrebbe essere risolta con l’utilizzo delle piante transgeniche.

L’applicazione del trasferimento genico nelle piante potrà  produrre specie vegetali migliorate. Si potranno quindi generare nuove varietà resistenti agli stress biotici; varietà che posseggono geni esogeni determinanti la resistenza a malattie causate da batteri, funghi e virus, e anche la resistenza a erbe infestanti.

Le piante di cotone Bt sono un esempio di biotecnologia applicata in agricoltura. I semi del cotone Bt, messi in commercio dalla Monsanto, dal 2002 sono utilizzati dall’India e in questi ultimi anni si è assistito ad un aumento della resa produttiva del raccolto. Tutto ciò è la conseguenza delle caratteristiche acquisite dalle piante di cotone Bt, in seguito alla ingegneria genetica, poiché tali piante hanno nel loro genoma un gene del batterio Bacillus thuringiensis, che attribuisce loro resistenza ai parassiti, evitando ai coltivatori l’uso di pesticidi.

Vi sono, inoltre, piante transgeniche resistenti agli stress abiotici (acquisizione della resistenza a siccità, salinità, alle basse e alte temperature) e anche migliorate a livello nutrizionale, arricchite in vitamine (esempio il riso golden), ferro e amminoacidi.

Per il sociologo americano quindi alla ricerca scientifica, e non ai movimenti d’opinione e al “potere dell’informazione”, spetta il doveroso compito di rispondere in modo sempre più preciso all’interrogativo se le piante e il cibo transgenico agiscano in modo dannoso sulla salute dell’uomo; senza preclusioni aprioristiche proprio in ragione del potenziale utilizzo vantaggioso di questa potente tecnologia.