Impossibile non rimanere stupiti di fronte all’infinita varietà di organismi che popolano la Terra. È la biodiversità, il risultato di uno straordinario processo di evoluzione che dura da circa quattro miliardi di anni.

Un percorso alquanto complesso, frutto dell’interazione di molteplici fattori, in continuo cambiamento e movimento. Le ricerche documentano che la vita è iniziata nel mare e poi ha invaso la terraferma colonizzando tutti gli ambienti, che i gruppi sistematici che noi oggi conosciamo si sono modificati nel corso delle ere geologiche con tempi e modalità diverse e che molti organismi vissuti nel passato ora non esistono più.



Perché alcune forme comparse tanto tempo fa ci sono ancora oggi e altre non sono riuscite a sopravvivere? Ma, soprattutto, quali sono le cause che hanno determinato le estinzioni, in particolare le estinzioni di massa come quella avvenuta alla fine del Cretacico nota al grande pubblico per aver determinato la scomparsa dei grandi dinosauri?



Per risolvere questi interrogativi, gli scienziati, tra cui paleontologi, geologi, geochimici, fisici e botanici, analizzano gli strati rocciosi che costituiscono il nostro pianeta per studiare i resti delle forme di vita animali e vegetali (i fossili) in essi presenti. Si tratta di indagini indirette che da tracce, impronte, resti e così via permettono di ricostruire la vita del passato, gli ambienti e il clima. Per queste ricerche occorrono interdisciplinarietà, tecniche sofisticate, pazienza e anche un po’ di immaginazione.

Una grande perdita di biodiversità si è avuta circa 250 milioni di anni fa alla fine del Permiano. Non si conosce esattamente l’entità di questa estinzione dal punto di vista tassonomico, ma si ritiene che, a scala globale, scomparve circa il 90% delle specie marine e il 70% di quelle sulla terraferma. Varie sono le cause apportate dagli scienziati per spiegare questa estinzione (variazione del livello del mare, anossia, eruzioni vulcaniche) considerata tra le più importanti della storia della Terra che portò la vita quasi alla scomparsa.



Secondo una recente ricerca pubblicata da Grasby S.E., Sanei H. del Geological Survey del Canada e Beauchamp B. dell’Arctic Institute of North America dell’Università di Calgary su Nature Geoscience, la causa sarebbe da attribuire all’attività dei vulcani siberiani, le cui eruzioni avrebbero provocato un’enorme produzione di ceneri carboniose che sono state disperse sia in atmosfera che nei mari alterando gli equilibri biogeochimici impattando negativamente sugli esseri viventi.

La ricerca è di notevole interesse, in quanto per la prima volta vengono presentate evidenze dirette per avvalorare un’ipotesi già formulata in precedenza. Le indagini sono state effettuate sui sedimenti marini presenti nell’attuale area artica canadese (sezione sedimentaria di Buchanan Lake) in cui è registrata, in maniera continua, la storia geologica dal tardo Carbonifero al Cretacico (da circa 300 a 60 milioni di anni fa) e quindi anche l’evento corrispondente alla crisi permiana.

 

L’esame al microscopio dei sedimenti presenti negli strati depositatisi poco tempo prima della grande estinzione ha evidenziato, oltre ai depositi marini dell’epoca, la presenza di particelle con peculiari caratteristiche ottiche (aspetto vetroso, vescicolare) e petrografiche tipiche di un materiale che ha subito un intenso processo di carbonizzazione, del tutto similari alle ceneri atmosferiche ottenute da combustione. Per gli studiosi è stato immediato collegare tale materiale all’intensa attività vulcanica che in quel periodo era presente nell’attuale area di Siberian Traps (circa 2 milioni di chilometri quadrati di superficie). Le particelle ritrovate sono piccolissime (minori di 50 micron) e quindi, trasportate dal vento, sono state in grado di viaggiare per migliaia di chilometri raggiungendo il bacino di Sverdup in Canada.

 

Per immaginare lo scenario ambientale verificatosi, dobbiamo ripensare alla dispersione delle ceneri vulcaniche in atmosfera in seguito all’eruzione del vulcano islandese Eyjafjallajokull il 20 marzo scorso e amplificare di molto il fenomeno. Inoltre, occorre sottolineare che nel Permiano, la configurazione geografica del nostro pianeta era molto diversa, i continenti non erano ancora suddivisi come adesso e formavano tutti insieme il supercontinente Pangea.

 

Proprio nella parte nord-orientale del Pangea si verificò uno degli eventi vulcanici più importanti della storia della terra. L’eruzione è iniziata con un’intensa fase esplosiva in grado di creare “plumes” (pennacchi) alti più di 20 km introducendo nella stratosfera frammenti litici, ceneri, enormi quantitativi di CO2 e altri gas alterandone il chimismo con le ovvie conseguenze negative. Le ceneri viaggiarono e si depositarono fino all’area canadese.

Altra importante scoperta fornita da questo studio è che i risultati ottenuti ben si integrano con i dati geochimici (analisi di C, Cr, Mo, Fe,) forniti da altre indagini che documentano variazioni nel chimismo dell’oceano poco prima della grande estinzione permiana. Le ceneri depositandosi in mare avrebbero limitato la penetrazione della luce e introdotto sostanze nocive provocando anossia, limitando la fotosintesi e aumentando l’attività microbica. Tutto questo avrebbe provocato un notevole stress sull’ecosistema a scala globale.

 

In seguito alla crisi, i coralli e la maggior parte degli gli animali marini, soprattutto quelli che vivevano ancorati sul fondo che si nutrivano per filtrazione dell’acqua marina oppure aspettando che la preda passasse, scomparvero. Molti gruppi meno abbondanti come i predatori, cefalopodi, gasteropodi ecc.. ebbero la possibilità di espandersi dando vita a nuove linee evolutive. Sia in mare che sulla terra hanno preso il sopravvento animali con strategie di vita diverse. La rapidità con cui si verificarono questi processi rimane ancora oggetto di dibattito.

 

Indipendentemente dalle cause di questi eventi eccezionali, che generalmente non sono mai univoche, soprattutto quando si tratta di un fenomeno a scala globale e dalle tempistiche non ancora ben chiare, rimane la constatazione di come la vita sia capace di stupire continuamente. In seguito alle grandi crisi biologiche emergono nuove opportunità, si creano nuovi spazi, compaiono o prendono il sopravvento nuove forme di organismi che si distribuiscono negli ambienti e determinano una nuova configurazione degli ecosistemi. Si creano occasioni per la vita con risultati sorprendenti e inaspettati.