A tutti sarà capitato di ritrovarsi, all’apertura di una lattina contenente una bibita frizzante, innaffiati dall’improvvisa e incontenibile fuoriuscita del liquido in essa contenuta. Può sembrare incredibile, ma i fenomeni eruttivi osservati da qualche anno su una delle molte lune di Saturno hanno trovato spiegazione proprio rifacendosi al meccanismo di emissione del liquido frizzante dalle lattine.
Spostiamoci dunque su Encelado, una piccola luna di Saturno che si trova a poco più di 180.000 km dalla superficie del gigante gassoso, proprio all’interno di uno dei famosi anelli, l’anello E, quello più esterno, esteso e rarefatto. Encelado è interamente ricoperto da uno strato di alcune decine di km di ghiaccio relativamente giovane e per questo è il corpo a più alta albedo (la capacità della superficie di riflettere la luce) di tutto il sistema solare, caratteristica che contribuisce a mantenerlo freddo. La sua crosta ghiacciata è sede di fenomeni di criovulcanismo, cioè di eruzione di fluidi freddi.
Su Encelado, in particolare, è nota – dalle osservazioni del 2005 della sonda Cassini – una zona in prossimità del polo sud, sede di perenni violenti pennacchi di vapore acqueo e altri elementi volatili come metano, azoto e anidride carbonica. Proprio l’attività di questi geyser che fuoriescono da spaccature della crosta di ghiaccio si pensano essere l’origine dell’atmosfera di Encelado, che si presenta infatti più densa alle latitudini più vicine al polo sud, e addirittura del disco E di Saturno.
L’origine di questi pennacchi ha interrogato non poco gli studiosi: una delle ipotesi formulate a spiegazione dello strano fenomeno presuppone come punto di partenza la presenza di enormi depositi di acqua liquida, veri e propri oceani all’interno dei ghiacci perenni. In un primo momento, però, la composizione chimica del gas emesso dalla superficie del polo sud di Encelado non mostrava la presenza degli elementi che ci si aspetterebbe se l’origine fosse un oceano nascosto nei ghiacci.
Nel 2009 Cassini ha sciolto il dilemma, scoprendo che i ricercati sali di sodio e potassio e i carbonati erano “invisibili” perché nascosti all’interno delle particelle ghiacciate dei pennacchi. Il preziosissimo lavoro di Cassini ha permesso inoltre di scoprire spaccature nella coltre di ghiaccio nelle quali la temperatura è più alta della media, arrivando a 180 gradi Kelvin (circa 90 gradi centigradi sotto lo zero). Dalle osservazioni si è perciò iniziato a cercare una spiegazione anche per temperature così “elevate”.
Ma come si sono potuti formare questi enormi depositi d’acqua e da cosa trae origine questa emissione di elementi volatili ed energia? Dennis Matson, planetologo della Nasa che ha partecipato allo studio e lo ha presentato pubblicamente, sostiene che l’origine deve essere interna alla coltre di ghiaccio: «Il calore deve fluire dall’interno in misura sufficiente a fondere parte del ghiaccio del sottosuolo e creare cisterne sotterranee».
Probabilmente, i moti mareali interni dovuti all’attrazione gravitazionale di Saturno danno origine a enormi forze di attrito interne al ghiaccio, liberando così grandi quantità di calore, che scioglie li ghiaccio e riscalda l’acqua fino a temperature impensabili. Matson ha mostrato misure di temperatura dell’acqua emessa sulla superficie vicina alle spaccature al polo sud prossime allo zero centigrado. In alcuni punti, il calore rilasciato è pari a 6 Gigawatt, cioè quanto una dozzina di centrali elettriche di medie dimensioni, molto più dell’energia rilasciata da un’area terrestre equivalente come estensione.
Da qui a spiegare l’origine dei pennacchi è necessario ancora un passaggio: come può avvenire che il contenuto di un oceano sovrastato da una cappa di ghiaccio spessa decine di chilometri raggiunga la superficie? Ecco intervenire l’idea della lattina: i gas disciolti hanno reso frizzante l’oceano, formando delle bolle nell’acqua. La densità dell’acqua frizzante è inferiore a quella del ghiaccio e per questo il liquido può velocemente risalire fino alla superficie, sciogliendo i ghiacci soprastanti.
L’acqua frizzante è anche sufficientemente calda per aumentare significativamente l’efficienza del meccanismo, che però si presenta ancora più complesso: «Gran parte dell’acqua in uscita – spiega Matson – si diffonde lateralmente e riscalda un sottile strato di calotta spesso un migliaio di metri. Ma una parte si raccoglie in camere superficiali, in cui la pressione aumenta fino a esplodere formando un buco in superficie da cui fuoriesce. Come quando si apre appena una lattina di bevanda gassata. Quando il resto dell’acqua si raffredda, percola nuovamente verso il basso ritornando nell’oceano per far ripartire il processo». E il tutto avviene per un unico motore, i moti mareali: «Questo processo è da solo responsabile per lo scioglimento dei ghiacci, l’emissione in superficie dell’acqua, del calore, dei sali di sodio e potassio».
Di sicuro, d’ora in poi, quando ci ritroveremo innaffiati dalla prossima lattina “esplosiva”, sarà più facile prenderla con leggerezza e sorridere, quasi sorprendendoci a pensare che un fenomeno a noi così vicino, per quanto fastidioso, rimandi al lontano e inospitale Encelado.