La Francia registra il suo primo caso di bambino-medicina: Umut-Talha, nato grazie ad una selezione embrionale e venuto al mondo per curare la talassemia beta dei fratelli Nato come strumento al servizio di altri. E’ la consapevolezza che, c’è da aspettarselo, accompagnerà la vita di Umut-Talha, “Speranza”, in turco.
Lo chiamano il bambino-medicina, e considerata la sua storia non sembra un temine inappropriato. Nel suo sangue c’è qualcosa che serve ai fratelli maggiori. Questa è la ragione per la quale i genitori hanno deciso di metterlo al mondo. Pensando, probabilmente, di compiere un atto di estremo affetto nei confronti dei propri figli. Che, sventura ha voluto, fossero affetti da talassemia beta. Una malattia non rara nei paesi del mediterraneo, che obbliga chi ne soffre a continue trasfusioni.
L’unica terapia risolutiva consiste nel trapianto di midollo osseo o di cellule staminali provenienti dal cordone ombelicale di donatori istocompatibili (spesso, i fratelli del paziente). Il piccolo Umut-Talha, è venuto alla luce a Clamart, alle porte di Parigi, con una tecnica che in Francia è legale dal 2004. E’ stato fatto nascere attraverso la fecondazione in vitro, solo dopo un doppia diagnosi genetica pre-impianto, cheha permesso ai medici di selezionare un embrione molto particolare: che non fosse, cioè, portatore della malattia e – a livello ematico e di tessuti – compatibile con i fratelli malati. In Francia, dalla normativa nel 2004, è il primo caso del genere. Il primo caso di un bambino-medicina risale al 2000, negli Sati Uniti, mentre in Europa risale al 2005, in Spagna e in Belgio.
Si tratta di una malattia degenerativa trasmessa in maniera ereditaria. Provoca anemia, ovvero un malfunzionamento della circolazione dell’ossigeno nel sangue. Tale patologia ha una grande diffusione nell’area mediterranea, specie nel Nord Europa, in Spagna meridionale, in Sicilia e Sardegna, dove la percentuale di ammalati sfiora il 12 per cento e ci sono più di 700 mila portatori sani. Il suo nome deriva dal greco, (thalassa significa mare) e indica il fatto che era diffusa, specialmente, tra chi viveva in zone acquitrinose o paludose.
Chi è affetto da questa malattia, ha un difetto nella sintesi dell’emoglobina, la proteina contenuta nei globuli rossi del sangue, che trasporta l’ossigeno alle diverse cellule del corpo e che ha il compito di eliminare l’anidride carbonica. Tale proteina è formata da una testa chiamata eme e da diverse catene proteiche, dette globine, contraddistinte dalle lettere greche alfa, beta e gamma.
I difetti di una o più di queste catene provocano le varie malattie talassemiche, in particolare l’alfa talassemia e la beta talassemia, la più diffusa nelle zone del mediterraneo. Laddove si verifichi un’assenza totale di catene beta, con formazione, esclusivamente, di catene alfa, si ha un ingrossamento di fegato e milza. Le trasfusioni periodiche, ogni circa 15-20 giorni, servono a sopperire alla mancanza di globuli rossi.
Nella fecondazione assistita vengono prelevati gli ovuli dalle ovaie della donna, e successivamente fertilizzati con il seme del marito o di un donatore esterno. Tale processo avviene, appunto, in vitro e, dopo 3-6 giorni, l’embrione venutosi a formare viene impiantato nell’utero.
La tecnica fu sviluppata nel Regno Unito da Patrick Steptoe e Robert Edwards (quest’ultimo ottenne, per le scoperte legate a tale ricerca, il Nobel per la medicina nel 2010). La prima bambina nata con questo processo fu Louise Brown, nata a Londra il 25 luglio 1978.
In una prima fase, alla donna vengono somministrati dei farmaci che provochino un’iperovulazione, per poter disporre di un numero maggiore di ovociti da prelevare. Una volta che gli ovociti sono ritenuti maturi, vengono collocati in appositi recipiente con del seme maschile, affinché uno spermatozoo vi penetri all’interno. A volte vengono utilizzate tecniche di fertilizzazione assistita come l’ICSI (Intracytoplasmatic Sperm Injection, o iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo), con la quale lo spermatozoo viene iniettato artificialmente nel citoplasma dell’ovocita.
Una volta che si forma l’embrione, questo viene introdotto nell’utero, di norma entro 72 ore: la speranza è che si annidi, mettendo radici nella mucosa uterina per potere ricevere calore e nutrimento dalla madre. Di norma, per bilanciare i rischi di parti plurigemellari e per aumentare, al contempo, le probabilità di successo, si impiantano tre embrioni.
Nei paesi in cui la legislazione lo prevede, gli embrioni portatori di un difetto genetico, nel caso in cui vengano scartati in seguito ad una Diagnosi Genetica Preimpianto, sono solitamente destinati alla distruzione immediata o "donati" per scopi di ricerca, con la conseguente distruzione al termine della sperimentazione.
Stessa fine per gli embrioni soprannumerari, quelli, cioè, che non vengono impiantiti nell’utero. Questi ultimi, in alcuni casi vengono “adottati” da coppie che intendono ricorrere alla fecondazione assisti ta. In Italia, la soppressione degli embrioni così come loro selezione genetica, è vietata dalla legge.
La diagnosi prenatale è un procedimento che consente di identificare la presenza di anomalie genetiche nell’embrione entro le prime 10-16 settimane di gestazione. I due metodi principali utilizzati si chiamano villocentesi e amniocentesi. Il primo consiste nel prelievo di villi coriali, la parte embrionale della placenta. Il secondo nel prelievo di liquido amniotico dalla cavità uterina.
Entrambe le tecniche prevedono il prelevamento di un campione di cellule fetali, da cui viene estratto il Dna sul quale si effettua l’analisi della mutazione dei geni interessati e determinazione del cariotipo fetale. Laddove nel feto venga individuata una malattia genetica, non di rado i genitori ricorrono all’interruzione di gravidanza nei termini e consentiti dalla legge. Alcune coppie ricorrono ripetutamente alle interruzioni di gravidanza finché li feto non risulti sano.
La Diagnosi Genetica Preimpianto è una tecnica nuova di diagnosi prenatale. Consente di identificare eventuali anomalie cromosomiche o la presenza di malattie negli embrioni già in fasi di sviluppo molto precoci. La diagnosi avviene prima che l’embrione sia impiantato nell’utero della donna.
Manipolazioni embrionali, soppressione di embrioni, fecondazione in vitro; e, soprattutto, un bambino messo al mondo per servire allo scopo di altri. Va da sé che tutto questo non è esente da ricadute etiche. «Si tratta del tristissimo epilogo di una medicalizzazione ad oltranza del concepimento e della nascita che affonda le sue radici in una "concezione strumentale della vita dell’uomo", che non è più riconosciuta come un fine e un bene in se stessa, ma e asservita ad un progetto che le viene imposto dal di fuori», spiega, interpellato da Ilsussidiario.net, il professor Roberto Colombo, docente presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica, al Policlinico Gemelli di Roma e membro del Comitato Nazionale di Bioetica.
«Possiamo solo intuire – dice a proposito di Umut-Talha – quale potrà essere il gravissimo riverbero della coscienza di quel bambino di essere stato voluto dai propri genitori non "per se stesso" ma "per un altro", in funzione di un altro, di suo fratello malato. Ognuno di noi è stato creato per se stesso ed è fatto per essere amato in se stesso e per amare l’altro come se stesso. Non vi è tormento più grande che quello che sorge in noi quando ci accorgiamo di essere sfruttati, "usati" per uno scopo che ci è estraneo, che non è solidale con il nostro destino».
(Paolo Nessi)