“L’Italia s’è desta”. Anche quella scientifica. I 150 anni dell’unità nazionale sono occasione per ripercorrere la storia della scienza e della tecnologia nostrane; non tanto con obiettivi celebrativi, ma per cercare, nell’esperienza dei protagonisti, segnali che possano orientare chi oggi è coinvolto nelle sfide, a volte drammatiche, poste dallo sviluppo tecno-scientifico. Semplificando, per facilità comunicativa, possiamo descrivere tre fasi della storia scientifica italiana.



La prima, nella seconda parte del XIX secolo, assiste, coerentemente con quanto accade nel resto d’Europa, ai successi che alimentano le radici dei sistemi tecnologici moderni; illuminati da personalità a cavallo tra fisica e ingegneria, come Antonio Pacinotti, Galileo Ferraris, Antonio Meucci e Guglielmo Marconi.

Il primo, proprio negli anni in cui si insediava il Regno d’Italia, sperimentava il suo celebre “anello”, che poteva funzionare sia come dinamo che come motore, e poneva una solida base per lo sviluppo dell’elettrotecnica industriale. Al secondo si deve l’invenzione del motore asincrono a campo magnetico rotante, il cui principio ispira ancora buona parte dei motori elettrici che, in varie forme e dimensioni, popolano la nostra vita quotidiana.



Più noti sono i due padri delle telecomunicazioni. Meucci, contestato inventore del telefono, si è visto attribuire la priorità della scoperta per un brevetto che non era riuscito a rinnovare; si noti che solo nel giugno 2002 il Congresso degli Stati Uniti ha riconosciuto il suo contributo all’invenzione di uno degli strumenti più caratterizzanti delle società moderne.

Quanto a Marconi, la sua vita ha coperto tutta la prima metà del centocinquantennio, passando dal momento della passione scientifica e della scoperta, alla conquista del premio Nobel nel 1909, all’attività imprenditoriale con i servizi di radiotelegrafia. Figura di primo piano nel mondo scientifico nazionale, ha ricoperto tutte le cariche più prestigiose: dalla presidenza del Cnr e della Accademia dei Lincei, a quella della Treccani, alla nomina nella Pontificia Accademia delle Scienze seguita al suo contributo alla costruzione della Radio Vaticana.



 

La seconda fase, anche qui semplificando, possiamo definirla più “teorica” e va dai fondamentali contributi dei nostri matematici di fine Ottocento fino alla fisica teorica, sviluppata nella celebre scuola via Panisperna e in particolare da Ettore Majorana, che secondo alcuni storici della scienza e secondo lo stesso Fermi, era tra i maggiori fisici teorici del Novecento, al livello di Einstein, Bohr o Heisenberg.

 

La matematica vede spuntare una stella di prima grandezza con Giuseppe Peano, ricordato anche per la sua elaborazione di una celebre curva che riempie tutto il piano ed è considerata un esempio ante litteram di figura frattale. Ma ci sono anche studiosi come Gregorio Ricci Curbastro e Tullio Levi Civita. Si ricorda troppo poco che è grazie al calcolo tensoriale da loro sviluppato che Einstein ha potuto dare una veste rigorosa alla sua teoria della relatività generale e fornire l’impianto matematico di tutta la cosmologia moderna, descrivendo lo spazio-tempo quadrimensionale nel quale si svolge l’evoluzione cosmica, dal big bang alle galassie in espansione accelerata.

 

E tra i matematici come non citare Vito Volterra, nato due giorni prima che i mille garibaldini salpassero da Quarto: iniziatore del Cnr nel 1923 e suo primo presidente, a lui si devono le equazioni “preda-predatore” e i contributi alla modellizzazione matematica di molti fenomeni, oggi potentemente utilizzata in campo biologico ed ecologico.

Ma proprio nella stessa scuola di fisica romana guidata da Enrico Fermi inizia la terza fase, quella più legata alla dimensione sperimentale. È una fase che vede i fisici italiani presenti in posizioni di rilievo nei grandi progetti di ricerca internazionali nei diversi settori: dalla fisica delle alte energie, all’astrofisica, alla fusione nucleare fino alle giovani nanotecnologie. E che trova l’Infn (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) pronto a realizzare nel 1982 il grande Laboratorio sotto il Gran Sasso, punta avanzata a livello mondiale per le ricerche di fisica delle particelle e astro-particelle.

 

Una tradizione, quella dei fisici sperimentali italiani, che ottiene un grande riconoscimento col premio Nobel a Carlo Rubbia nel 1984 e che oggi è al top mondiale col quartetto di fisici italiani insediati al timone dei grandi esperimenti dell’acceleratore Lhc presso il Cern di Ginevra: Fabiola Gianotti ad Atlas, Guido Tonelli a Cms, Paolo Giubellino ad Alice e Pierluigi Campana a Lhcb. Senza dimenticare che negli anni ‘60 anche la chimica italiana era salita in cattedra col Nobel a un ingegnere del Politecnico di Milano, Giulio Natta, inventore del polipropilene.

 

Quelle fin qui ricordate sono solo le punte di diamante di 150 anni di grande scienza e tecnologia tricolore. E non sarà inutile sottolineare che non sono stati solo anni di scienza positivista, insensibile o addirittura contrapposta all’esperienza religiosa, come resta radicato in certi luoghi comuni e ancora appare in molta pubblicistica.

 

Sono molti, e di notevole statura scientifica, i ricercatori che non hanno nascosto le proprie convinzioni religiose e le hanno considerate come fattore determinante di conoscenza. A partire proprio da Marconi e dallo stesso Fermi, quest’ultimo pur con la consueta riservatezza ed essenzialità espressiva. Ma ci sono figure meno note al grande pubblico, ma altrettanto importanti: come l’astrofisico padre Angelo Secchi e matematici come il beato Francesco Faà di Bruno, Francesco Severi e il premio Wolf 1990 Ennio De Giorgi. E altri ancora. Ma ci sarà modo di riparlarne in questo anno anniversario.