Esseri viventi di piccolissime dimensioni, visibili solo al microscopio, popolano gli strati superficiali degli oceani a qualsiasi latitudine viaggiando trasportati dalle correnti. È il fitoplancton, organismi autotrofi che costituiscono la base della catena alimentare degli ecosistemi acquatici. La presenza del fitoplancton è indispensabile per lo sviluppo degli ecosistemi marini infatti la loro scomparsa può influire in modo determinante sulla vita nel mare mettendo a serio rischio le risorse ittiche.



Il fitoplancton gioca un ruolo chiave nella regolazione dei cicli biogeochimici essendo tra gli attori principali dell’interazioni tra oceano e atmosfera. Da stime quantitative, esso risulta produrre buona parte dell’ossigeno che respiriamo. Attraverso la fotosintesi, gli organismi fitoplanctonici  provvedono all’assimilazione di CO2 nella zona con un buon livello di luce solare (eufotica) e ne consentono il sequestro (il trasporto e l’immagazzinamento) nelle profondità oceaniche permettendo così agli oceani di costituire un serbatoio naturale per questo gas: è il concetto di “pompa biologica”. Solo una parte del carbonio utilizzato dalla pompa biologica nello strato oceanico superficiale arriva però allo strato profondo e al sedimento dove può rimane intrappolato anche per secoli, mentre una grossa parte viene riciclata dai batteri e restituita all’atmosfera.



Variazioni nel ciclo biogeochimico del carbonio e della produttività primaria (produzione di biomassa mediante fotosintesi da parte del fitoplancton) sono in grado di alterare in maniera significativa il tenore atmosferico di CO2 e quindi avere un impatto sul clima globale.

Periodi caratterizzati da grandi esplosioni fitoplanctoniche nelle acque superficiali, magari associate a favorevoli condizioni climatiche, hanno limitato la diffusione di ossigeno disciolto nelle acque profonde impedendo lo sviluppo della vita nei fondali. Tali condizioni anossiche e/o disossiche (assenza o carenza di ossigeno) sono identificabili nei sedimenti marini come accumuli di materia organica in cui sono assenti o estremamente ridotti gli organismi che vivono sul fondale.



Per gli studiosi del clima del passato questi depositi rappresentano uno degli esempi più interessanti per indagare le interazione tra variazioni climatiche, biochimica, assetto idrologico e sedimentazione.

Varie indagini riportano perturbazioni della chimica degli oceani durante il passato geologico; tra queste molto interessante è quella del tardo Cambriano, circa 500 milioni di anni fa, documentata con dati sperimentali dal recente lavoro pubblicato su Nature il mese scorso da  Benjamin C. Gill del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di California.

 

 

 

Lo studio, a partire da analisi geochimiche del carbonio e dello zolfo effettuate su sedimenti ricchi di materia organica depositatisi in quel periodo, ha permesso di documentare una escursione positiva degli isotopi del carbonio (12C e 13C) a scala globale, nota come  “Steptoean Positive Carbon Excursion”, che sembra riflettere la presenza di un ambiente anossico e condizioni anaerobiche. Queste condizioni di assenza di ossigeno sarebbero state molto accentuate, confinate non solo alle acque più profonde delle piane abissali come spesso accade, ma avrebbero interessato anche le zone di piattaforma.

 

 

 

Sarebbe proprio questa la spiegazione per il grande fenomeno di estinzione di massa del Cambriano che avrebbe causato la quasi scomparsa dei Trilobiti, il gruppo fossile tipico di questo intervallo di tempo. Molti studi sulle grandi crisi biologiche ritengono che l’anossia sia stata una delle cause principali delle varie crisi ambientali, moltissime delle quali a carattere globale, che hanno portato alla riduzione della vita sulla terra.

Sempre analizzando le rocce del Cambriano, Matthew Saltzman ricercatore della Ohio State University insieme ai suoi collaboratori (team di ricerca in collaborazione con Gill), ha evidenziato intermittenti aumenti di ossigeno in atmosfera e li ha associati al notevole sviluppo e diversificazione delle specie marine nei periodi successivi. Secondo gli autori, l’aumento del tenore di ossigeno in atmosfera sarebbe collegato con l’incremento dei nutrienti disponibili nelle acque di superficie assecondando lo sviluppo di molti gruppi di organismi fitoplanctonici. Di conseguenza sarebbe aumentata la produzione primaria, ovvero la risorsa di cibo per gli altri organismi della catena alimentare che progressivamente si sono sviluppati e diversificati colonizzando nuovi habitat.

 

 

 

Questi due significativi esempi mettono in evidenza come il mantenimento delle specie e lo sviluppo della biodiversità sia strettamente connesso con il complesso equilibrio tra atmosfera, oceano e biosfera la cui comprensione  rappresenta una delle più interessanti sfide scientifiche attuali.