Che il clima sia un sistema complesso è una affermazione di dominio comune; anche se non molti hanno piena consapevolezza di quali siano i fattori determinanti di tale complessità e di come interagiscano e incidano sulle possibili valutazioni e previsioni. Basti pensare a tutte le “sfere” che devono essere implicate negli studi sul clima e  tenute costantemente sotto osservazione: non solo l’atmosfera ma anche l’idrosfera (i sistemi delle acque), la litosfera (l’insieme delle rocce), la criosfera (i ghiacciai) e, naturalmente, la biosfera. Serve quindi una quantità enorme di dati che consentano di sviluppare e aggiornare una serie di modelli; e serve una intensa attività non solo per la raccolta dei dati ma anche per la loro elaborazione, per valutarne l’attendibilità, per non rischiare di essere depistati dagli errori e dalle imprecisioni delle misure, che sono peraltro inevitabili.



In Italia c’è un centro che opera in questa direzione: è il Centro Euro-Mediterraneo per i Cambiamenti Climatici(CMCC) che, nelle sedi di Lecce e di Capua, vede in funzione un centro di calcolo avanzato in grado di macinare informazioni con una capacità di elaborazione complessiva di 30 TeraFlops, cioè 30 mila miliardi di operazioni al secondo e di immagazzinare dati per un totale di 1,5 PetaBytes, cioè 1,5 milioni di GigaBytes. Con questa potenza di fuoco si possono costruire scenari dei cambiamenti climatici come quelli illustrati ieri all’Università degli Studi di Milano, nel corso del convegno “Il clima che verrà” organizzato da Artenergy Publishing, da Alessio Bellucci, fisico che opera nella sede di Bologna del CMCC.



Bellucci ha mostrato le proiezioni di cambiamento climatico per l’Italia per l’ultimo trentennio del XXI secolo, confrontandole con i dati del periodo dal 1971 al 2000. Con un’avvertenza preliminare, come ha dichiarato a IlSussidiario.net: «I nostri modelli si basano su equazioni differenziali che rappresentano i sistemi complessi con la loro varietà di fattori e di processi. I modelli sono strumenti versatili e permettono di fare “esperimenti climatici” e anche proiezioni per il futuro; per queste però bisogna partire da alcune assunzioni iniziali, ad esempio su come potrebbero variare le emissioni di gas serra. La diversità degli assunti di partenza fa sì che gli scenari possano differire anche di molto, con un range che va dalle soluzioni più ottimistiche a quelle più pessimistiche».



Un’altra premessa riguarda la scala sulla quale si applicano le previsioni e questa è legata alla “risoluzione” con la quale sono costruiti i modelli, cioè alla minima estensione geografica descrivibile con precisione. I modelli globali del clima possono spingersi fino a una risoluzione di 60 km; ma anche a questi livelli, se vogliamo avere un’idea dell’area Euro-Mediterranea e del suo clima, avremo una rappresentazione piuttosto grossolana. Per risolvere in modo adeguato i processi a scala locale è necessario ricorrere a modelli regionali e quindi scendere a risoluzioni dell’ordine dei 50 km, come quella che caratterizza i modelli del progetto PRUDENCE (Prediction of Regional scenarios and Uncertainties for Defining European Climate change risks and Effects), una denominazione quanto mai opportuna.

Veniamo dunque alle previsioni per l’Italia, assumendo per le emissioni di CO2 uno scenario tra i peggiori, quello indicato come A2 nei rapporti dell’IPCC; «anche se nei risultati finali c’è una certa convergenza tra gli scenari. I cambiamenti di precipitazione e temperatura nei due scenari A2 e B2 mostrano una generale consistenza. E si nota una stagionalità dei segnali di cambiamento, con massimi in estate e minimi in inverno, evidente su tutte le regioni».

Le proiezioni quindi per le temperature indicano un riscaldamento in tutte le stagioni ma la sua entità mostra una marcata stagionalità, con un aumento minimo (rispetto al XX secolo) invernale di 2.5 – 3.5 °C e uno massimo estivo di 3.5 – 5.0 °C.  Sia in estate che in inverno il riscaldamento dovrebbe essere più pronunciato sulle aree continentali che su quelle oceaniche.

Per le precipitazioni le proiezioni indicano una marcata riduzione in estate, da -10% a oltre -40%, su tutto il territorio; mentre in inverno il segnale di cambiamento mostra un andamento dipolare, con un aumento sulle regioni settentrionali e una diminuzione su quelle meridionali. «Dovremmo assistere a una migrazione nord-sud del segnale di cambiamento delle precipitazioni, legata a una corrispondente migrazione meridionale della traiettoria delle perturbazioni e a aumento della circolazione anticiclonica sul Mediterraneo».

I dati del cambiamento sono importanti ma non bastano da soli a valutare una situazione e soprattutto a prendere qualche tipo di provvedimenti. Bisogna stimare anche la variabilità … … della variabilità. «In effetti si parla sempre di cambiamento climatico; ma questo indica un trend misurato su tempo molto lunghi e riferito a valori medi; attorno ai quali però ci sono delle variazioni, più o meno marcate che diventano significative sui periodi più brevi. è interessante allora andare a vedere, tramite i modelli, se queste variazioni aumenteranno, diminuiranno o resteranno stabili. È un dato diverso da quello del cambiamento e non vanno confusi; il primo si misura tipicamente sulla scala dei decenni, la variabilità su quella dell’anno: parliamo infatti di variabilità interannuale. Che poi è quella che ognuno di noi può percepire e stimare: è ad essa che alludiamo quando diciamo “quest’inverno è stato più freddo del precedente”; ma da ciò non dobbiamo dedurre che siamo entrati in un’era glaciale».

La variabilità interannuale della temperatura sulla nostra penisola, nel periodo considerato, aumenterà in estate e diminuirà in inverno, con cambiamenti più marcati nel Nord. La riduzione di variabilità invernale è attribuibile alla diminuzione di copertura nevosa, che risulta in una diminuzione dell’efficacia del feedback legato all’albedo (la riflettività luminosa) della neve. L’aumento di variabilità estiva è invece legato a un aumento del feedback tra umidità del suolo e precipitazioni.

Per la variabilità interannuale delle precipitazioni, si prevedono cambiamenti di piccola entità in inverno e invece  un notevole aumento in estate, attribuibile a un ciclo idrologico più intenso e a condizioni generalmente più secche del suolo.


(a cura di Mario Gargantini)

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