In pochi anni si possono cambiare le opinioni su molte cose; a volte però alcuni cambiamenti lasciano perplessi e non è facile capire cosa li possa avere determinati. È il caso degli atteggiamenti degli italiani verso la scienza e la tecnologia: atteggiamenti che vengono monitorati e analizzati da alcuni anni da Observa Science in Society e pubblicati nell’Annuario Scienza e Società (Il Mulino).



Dal sondaggio svolto nel 2009 a quello dello scorso anno si registra un aumento significativo dei giudizi critici nei confronti di scienza e tecnologia: la percentuale di coloro che ritengono che la scienza e la tecnologia cambino troppo velocemente il nostro stile di vita aumenta del 10% (dal 69,3% al 79,3%); quella di chi le considera responsabili della maggior parte dei problemi ambientali sale quasi del 13% (dal 50,9% al 63,7%) e quella di chi vede nella scienza contemporanea una minaccia a valori fondamentali come la vita umana e la famiglia cresce addirittura del 17,4%, avvicinandosi alla maggioranza del campione (dal 32,4% al 49,8%).



Il dato che fa pensare però è che continua ad essere elevata la quota di chi è convinto che i benefici della scienza siano maggiori dei possibili effetti negativi (dal 67,7% al 68,3%): chiamati ad esprimersi sulla portata e sulle conseguenze pratiche delle principali innovazioni, gli italiani (almeno quelli del campione di Observa) ridimensionano le critiche ed esprimono giudizi più favorevoli. Negli ultimi tre anni, ad esempio, sono passati dal 66% al 78,1% quelli che ritengono molto o abbastanza positiva la telefonia mobile; aumentano anche coloro che vedono bene lo sviluppo di Internet e le biotecnologie; e per le nanotecnologie i molto favorevoli passano dal 46,6% al 61,8%.



Andando più nel dettaglio dell’analisi, emergono peraltro giudizi critici su singoli aspetti. Ma il dato generale resta quello indicato, con tutta la sua carica di problematicità: sembrerebbe più logico avere una valutazione positiva verso la scienza in generale, come impresa conoscitiva umana mossa dal genuino desiderio di verità, e poi magari avanzare preoccupazioni e critiche sulle sue applicazioni pratiche. Invece il percorso concettuale degli intervistati sembra andare nella direzione opposta.

È piuttosto difficile interpretare un dato del genere. Anche se verrebbe da considerarlo indicativo di una persistente, e forse crescente, confusione su cosa sia conoscenza, sulla diversità di piani nei giudizi espressi, sulla complessità dell’interazione dell’uomo con la realtà. In tutto ciò incide anche l’avanzare di un pensiero debole e superficiale, che stenta a riconoscere il valore dell’attività conoscitiva e lascia ampio margine a un diffuso pragmatismo, interessato solo al funzionamento delle cose e ai risultati immediati. Le indagini dei prossimi anni potranno forse far luce sulle reali tendenze in proposito e sulle loro radici; tuttavia vale la pena avviare da subito una riflessione sui temi qui appena accennati.

Nel frattempo, non si possono non evidenziare almeno altri due dati significativi emersi dal sondaggio.

Il primo presenta anch’esso una faccia bivalente. Aumentano infatti coloro che ritengono che “solo la scienza può dirci la verità sull’uomo e sul suo posto nella natura”: sono in grande maggioranza e sono passati nell’ultimo anno dal 59% al 64,5%. D’altra parte è scesa la percentuale di chi vede nella religione un limite alla libertà degli scienziati: erano il 59,3% una anno fa e ora sono il 55,5%. Si tratta ancora di una percentuale alta, vittima di un luogo comune che non corrisponde alla realtà dell’esperienza scientifica vissuta. Potrebbe però indicare un’inversione di tendenza e segnalare quella ritrovata apertura alla dimensione dei significati della quale la scienza stessa ha bisogno per affrontare le molteplici sfide che la provocano.

Il secondo dato è quanto mai di attualità, anche se rischia di essere già superato drammaticamente dagli eventi. Riguarda la posizione nei confronti del nucleare. All’interno di un trend di atteggiamenti sempre più positivi verso le innovazioni tecnologiche, il ricorso al nucleare come fonte energetica fa eccezione. Se nel 2007 erano il 39,5% gli italiani che percepivano positivamente questa tecnologia, nel 2010 sono scesi al 35,6%, mentre è salita al 47,1% la quota di chi la valuta molto o abbastanza negativamente.

È un risultato che si può commentare in vari modi, ma che trova un contrappunto piuttosto intrigante in un altro dato sempre relativo alla questione energetica: mentre il 7,3% del campione dichiara di essere già impegnato a installare pannelli solari per ridurre i propri consumi di energia, scendono dal 68,6% al 63,6% coloro che non sono disponibili a considerare questa scelta e salgono dal 26,2% al 29% coloro che non hanno alcuna intenzione di considerarla.