Davanti alle grandi catastrofi naturali, si resta ovviamente senza parole. Purtroppo a  volte invece di parole se ne usano troppe. Nel tentativo di spiegare fenomeni in gran parte inspiegabili, o inevitabili, si cercano di trovare spiegazioni e si finisce per dire cosa che non sono vere per niente. Ecco qualche esempio



In molti hanno riferito nelle fasi iniziali del terremoto che il sisma aveva raggiunto il livello 6 della scala di rilevazione. Il problema è che quella rilevazione (di grado 6) è stata fatta sulla vecchia scala Mercalli, oggi MSK, che ha un sistema differente di misurazione delle scosse rispetto alla scala Richter, quella più usata. E’ anche vero che le due scale hanno modo di impiego diverso. La scala MSK o Mercalli assegna una intensità indicata in cifre romane che corrisponde al modo in cui un sisma è stato avvertito in un posto. Ad esempio il valore V significa che la scossa è in grado di risvegliare le persone che dormono. La scala IX significa distruzione degli edifici. Dunque un sisma come quello giapponese, che ha raggiunto il valore di 8.8 sulla scala Richter, era di valore VI sulla scala MSK/Mercalli. Da cui l’errore riportato da alcuni media.



Qualcuno ha detto che la conoscenza geologica e quella dei movimenti delle placche tettoniche, così come la mappatura dei precedenti terremoti, permette di prevederne di nuovi. Si è anche detto che aree dove un terremoto non è avvenuto per un lungo periodo di tempo, sono le più candidate a una nuova scossa di terremoto. Falso. Per i terremoti è impossibile fare previsioni a breve termine, fosse anche di giorni, per non parlare di ore. Non esiste nessuno studio così avanzato in grado di dire che un terremoto è imminente e dare, ad esempio l’ordine di evacuazione alla popolazione.

Si è detto che quando è stata costruita la centrale nucleare di Fukushima non si poteva sapere che la zona era a rischio terremoti. E’ falso. Quella zona era nota da decenni per i suoi frequenti terremoti. Nel 1923 ci fu un terremoto che distrusse gran parte di Tokyo che arrivò a colpire anche le zone a pochi chilometri da quella di Fukushima. 



In realtà, dall’inizio del Ventesimo secolo, quello che ha colpito il Giappone l’11 marzo è quinto nella classifica dei terremoti più violenti. Ad esempio, quello che ha colpito Sumatra nel 2004 è stato di magnitudo 9.1. Il più violento è stato quello del 22 maggio 1960 in Cile, 9.5 gradi. A seguire quello del 28 marzo 1964 in Alaska (9.2), quindi quello citato di Sumatra; e poi il terremoto del 4 novembre 1952 in Kamchatka (9.0). Si calcola infine che dall’inizio del Quaternario ad oggi ci siano stati almeno 80mila terremoti dell’intensità di quello del Giappone.

In realtà le conoscenze geologiche e quelle relative allo studio dei terremoti nel paese asiatico dimostrano il contrario. Per avere un terremoto di questa portata infatti ci vogliono alcuni fatti specifici. Ad esempio la velocità di convergenza tra due piastre tettoniche. Nel caso del terremoto  in Cile del 1960, questa velocità fu di 8 centimetri all’anno. Nella metà settentrionale del Giappone, dove c’è stato il cataclisma dell’11 marzo, la convergenza delle piastre tettoniche è appunto di 8 centimetri all’anno. Per diversi secoli poi non c’erano stati terremoti in questa zona. Certo, come detto prima, non era possibile prevedere il momento esatto del terremoto ma si poteva evitare di costruire centrali nucleari.

Si è ampiamente letto che uno tsunami con onde alte più di 15 metri come quelle abbattutesi sulla costa del Giappone non era prevedibile. Nel caso di terremoti di potenza pari a questo o superiore, si è invece verificata esattamente la stessa cosa. Dopo il terremoto in Cile del 1960 si sono formate onde alte 25 metri; onde di 15 metri dopo quello in Alaska del 1964 e onde di 20 metri dopo quello in Indonesia. Tutti i grandi terremoti degli ultimi 50 anni hanno dato vita a tsunami di grande forza distruttiva. Ma nello stesso Giappone c’è stato un precedente: nel 1993 il terremoto di Hokkaido Nansei-Oki con una magnitudo di 7.8 gradi ha scatenato onde alte anche 31 metri. In quella zona sono adesso state costruite dighe per evitare il ripetersi dei danneggiamenti in caso di un nuovo tsunami. I giapponesi dunque avrebbero dovuto prevedere anche nelle zone colpite dallo tsunami dell’11 marzo un evento analogo a quello del 1993 e prendere misure adeguate come appunto la costruzione di dighe.

Questa è una notizia che ha elementi di verità e di errore allo stesso tempo. Ovviamente, più energia libera un terremoto, maggiore è il danno che si verifica. E’ il passaggio delle onde sismiche a scatenare la distruzione. Dunque le distruzioni effettive degli edifici dipendono da diversi parametri. Ad esempio la distanza dall’epicentro, la profondità del terremoto e il tipo di terreno su cui sono costruiti gli edifici. Nel 1985 ci fu in Messico un terremoto che causò circa 10mila morti nonostante la distanza dall’epicentro fosse di 350 chilometri. Questo perché la città colpita era edificata su un bacino sedimentario che fece da cassa di risonanza alle onde sismiche.

Non è vero. Il fondo marino che va dalla Campania alla Sicilia è ricco di vulcani sottomarini. Il crollo di un cono vulcanico sottomarino può sprigionare uno tsunami. Scosse di terremoto di magnitudo fortunatamente bassa si registrano continuamente al largo delle coste siciliane e calabresi. Per quanto riguarda i terremoti di superficie, purtroppo il nostro paese ha una delle tradizioni più lunghe ebraiche del mondo intero.

Non è vero. Nel 1988 nello stato canadese del Quebec ci fu una scossa di valore 5.9. Sempre nella medesima zona, nel 1663, si arrivò fino a magnitudo 7. E quella zona è ben lontana dai margini di ogni placca tettonica. Si è creduto infatti a lungo che le regioni della Terra lontane dai confini delle placche tettoniche siano prive di attività sismica. In realtà moderne tecniche di studio geofisico hanno dimostrato che la deformazione colpisce anche le piastre interne. Si tratta di studi molto recenti e dire che un terremoto non può accadere in aree considerate stabili è un errore.

E’ sia vero che falso. Ci sono ovviamente norme da seguire per edificare in modo sicuro. E’ però anche vero che per determinare queste norme sismiche bisogna considerare una infinità di dati relativi alla zona in cui si intende costruire, valutare gli effetti locali, considerare i terremoti del passato e molto altro ancora. Dunque in realtà non esiste una normativa unica per la costruzione di edifici a resistenza sismica. Ogni edificio poi ha bisogno di normative proprie, diverse ad esempio se dovrai costruire una villetta di campagna o una centrale nucleare.