L’Auditorium del Fermi National Accelerator Laboratory (FermiLab) di Chicago era completamente pieno lo scorso mercoledì, quando Viviana Cavalieri, giovane ricercatrice italiana presso la University of Illinois at Urbana/Champagne, ha annunciato l’osservazione di una discrepanza fra i dati raccolti con Cdf (Central detector at FermiLab) e le aspettative teoriche.
Cdf, il team internazionale di ricercatori a cui partecipo, sta raccogliendo dal 2001 i frammenti delle collisioni fra protoni e antiprotoni prodotte dal Tevatron, il collisionatore di particelle secondo in energia solo al Large hadron collider (Lhc) di Ginevra. Nell’urto si raggiungono altissime densità di energia (pari all’energia dell’universo nei primissimi istanti dopo il Big Bang) che, secondo l’equazione di Einstein E=mc2, si trasforma in nuove particelle con massa fino a centinaia di volte quella dei protoni. Le particelle massive prodotte dalle collisioni hanno una vita molto breve e decadono in altre particelle più leggere, che a loro volta decadono in altre. Il nostro lavoro consiste nel cercare di ricostruire la prima particella raccogliendo e studiando tutti i frammenti dei vari decadimenti.
Un anno fa, alcuni colleghi stavano studiando la frequenza a cui due di queste particelle massive (chiamate W e Z) vengono prodotte nella stessa collisione, quando si sono accorti che 250 eventi su un totale di circa 10.000 sembrano favorire la produzione anche di un’altra particelle a massa 150 volte più grande del protone. Dati i fenomeni fisici previsti dalla teoria, se ripetessimo l’esperimento molte volte, solo nello 0,076% dei casi i dati mostrerebbero un comportamento così estremo: alquanto improbabile, anche se non impossibile.
Il risultato ha sollevato molto interesse da parte dei fisici teorici, visto che la maggior parte dei modelli che sono stati sviluppati negli ultimi anni non predice particelle con queste caratteristiche. È chiaro, infatti, all’interno della comunità scientifica che il paradigma teorico di riferimento in fisica delle particelle (il Modello Standard), nonostante sia stato messo alla prova con centinaia di misure, e sia sempre risultato corretto, è incompleto, visto che ci sono evidenze sperimentali di fenomeni, come la massa delle particelle e la materia oscura, che non sa spiegare. Per questo da anni ormai c’e’ un grande senso di attesa: la speranza è che o il Tevatron o Lhc producano nuove particelle (come per esempio l’Higgs), che possano dare un’indicazione di quale nuova legge fondamentale agisca nell’universo.
Questo contesto spiega, in parte, ciò che è successo settimana scorsa al FermiLab: un gruppo di fisici teorici ha pubblicato un articolo con una possibile interpretazione teorica del risultato presentato da Viviana, prima ancora che Cdf avesse deciso di rendere pubblico tale risultato (cosa avvenuta solo quattro giorni dopo), utilizzando dati preliminari, e quindi non pubblici, mostrati in una tesi di dottorato. Una scelta che svela sicuramente l’entusiasmo di poter spiegare per primi qualcosa di nuovo, ma non particolarmente corretto. Non tanto nei confronti di Cdf, ma nei confronti del risultato stesso.
Prima di rendere pubblico un risultato, ottenuto di solito da team composti da 4-5 persone, buona parte dei collaboratori partecipa al processo di revisione del lavoro, facendo domande, chiedendo più informazioni, più controlli, per testare la solidità del lavoro e per renderlo più affidabile. Anche per quanto riguarda l’articolo, c’è un simile lavoro di revisione. Per cui, fino a quando la collaborazione non decide di pubblicare, vuol dire che non è certa dei risultati preliminari ottenuti. E in questo caso, data la natura del risultato, si è discusso per oltre un anno sulla validità del lavoro e sul suo significato. E la discussione è stata molto animata, tanto che non tutti i collaboratori hanno poi accettato di firmare l’articolo.
Prima di tutto, in fisica una discrepanza di queste dimensioni viene definita evidenza e, seppure interessante, potrebbe essere causata da una fluttuazione statistica; ciò significa che, studiando più dati, è possibile che la discrepanza sparisca. Secondo, il risultato descrive una discrepanza fra i dati e il comportamento che ci aspetteremmo se gli unici fenomeni fisici presenti in natura fossero quelli già noti. Ma, anche se la conoscenza di questi processi fosse perfetta da un punto di vista teorico (che non è), nel momento in cui traduciamo la teoria in quello che dovremmo vedere come risultato dell’esperimento introduciamo approssimazioni, che potrebbero essere la sorgente della discrepanza che osserviamo.
Per questo, prima di affermare che al FermiLab è stata scoperta una nuova particella, è necessario che l’analisi venga ripetuta con tutti i dati che abbiamo a disposizione (sono circa il doppio), per controllare se la discrepanza è ancora presente ed escludere una fluttuazione statistica. Inoltre, è necessario che anche l’altro esperimento al Tevatron, chiamato D0, osservi lo stesso fenomeno, per poter essere sicuri che sia reale. Ma anche se D0 confermasse la discrepanza, non sarebbe in grado di chiarirne la natura. Il modo in cui i processi noti vengono descritti in D0 è molto simile a quello che viene usato in Cdf, quindi difficilmente potrebbe svelare l’origine della discrepanza: un problema di approssimazione dei processi noti o la scoperta di un nuovo fenomeno fisico.
Di fronte a questa incertezza, ho visto svilupparsi fra i colleghi diverse posizioni: alcuni sono entusiasti e credono che il risultato veramente indichi la presenza di una nuova particella; altri sono scettici e hanno già deciso che il risultato non è credibile e non dice niente di nuovo; altri sono più moderati. Alla sorgente di questa divergenza di posizioni sta la natura stessa del lavoro di ricerca: lo studio di fenomeni fondamentali, a partire dai loro effetti visibili, dai segni. E il modo in cui questi segni vengono interpretati implica anche la nostra libertà.
Si può cercare di fare dire ai segni più di ciò che essi dicono, o li si possono ignorare, perché si ha già un’idea preconcetta. Oppure si può cercare di seguire i segni, affascinanti inviti a studiare più a fondo il pezzo di realtà che si ha davanti. Seguendo questi segni arriveremo certamente a scoprire qualcosa: probabilmente solo una imperfezione dei nostri modelli, o magari proprio una nuova particella, evidenza di nuove forze o di un nuovo orizzonte nella fisica che inizia a svelarsi ai nostri occhi.