Poche settimane fa un team di geologi italiani ha portato alla luce i resti perfettamente fossilizzati di un grande dinosauro vissuto nel Cretaceo. Uno dei ricercatori, al suo rientro in Italia, racconta a ilsussidiario.net la storia e il valore di questa importante scoperta e mostra le immagini della campagna di scavo.



Non tutte le buone scoperte capitano per caso, e spesso la perseveranza premia. Da oltre tre anni nella vasta regione che si estende a sud della città di Tataouine, nella Tunisia meridionale, un gruppo di ricercatori dell’Università di Bologna porta avanti la propria ricerca per riportare alla luce fossili vecchi di 120 milioni di anni. Il progetto, che è stato realizzato in collaborazione con l’Offices National des Mines di Tunisi per lo studio del patrimonio geologico e paleontologico della Tunisia, aveva prodotto già importanti risultati con la scoperta di diverse località fossilifere.



Tuttavia, la scoperta avvenuta nel mese di marzo ha certamente portato grande entusiasmo non solo nel team di ricercatori sul posto, ma anche agli esperti del settore. Aldo Bacchetta, che dall’inizio collabora con l’Università di Bologna in qualità di esperto del difficile territorio desertico e dall’occhio ormai esperto, si è imbattuto in un frammento osseo ancora parzialmente sepolto nelle sabbie del Cretaceo che poco aveva a che fare nell’aspetto con i tanti piccoli resti ossei che si trovano nella regione. La sua curiosità ha portato a una prima pulitura del frammento, che in breve si è rivelato essere la classica punta dell’iceberg. Al di sotto della dura sabbia infatti, si celava molto altro.



Dopo una settimana di scavi, il piccolo frammento aveva lasciato posto ai resti di un grande dinosauro erbivoro di cui si sono fossilizzati perfettamente le ossa del bacino e parte della coda. Questo almeno rivela la prima parte dello scavo, e molto altro attende di essere portato alla luce. Le sole ossa del bacino misurano 150 cm di lunghezza, e vertebre alte 45 cm in splendido stato di conservazione sono state recuperate e messe in sicurezza. È la prima volta in Tunisia che vengono rinvenuti i resti articolati – ossia nella posizione in cui l’animale è morto – di un dinosauro.

I lavori di scavo sono stati dedicati alla messa in sicurezza di questo reperto attraverso l’uso di colle speciali e strutture protettive in gesso che hanno permesso di prelevare parte dello scheletro. La missione sul terreno, organizzata grazie al supporto di Eni, ha permesso un primo trasporto alla sede dell’Office National des Mines a Tunisi, da dove proseguirà il suo viaggio fino al Museo Geologico Giovanni Capellini di Bologna per essere preparato e studiato.

Nello stesso giacimento sono state rinvenute numerose ossa e centinaia di denti di coccodrillo. Questi fossili, assieme allo studio dettagliato delle rocce che li hanno preservati, hanno permesso di stabilire che circa 120 milioni di anni fa la regione di Tataouine fosse attraversata da un ampio sistemi di fiumi che sfociavano in un basso mare attraverso grandi estuari. In questo ambiente vivevano diverse specie di coccodrilli, pesci, squali, rettili volanti e, ora lo possiamo affermare con certezza, anche grandi dinosauri erbivori. Da una prima stima è possibile ritenere che il dinosauro rinvenuto raggiungesse i 15 metri di lunghezza e che fosse imparentato con i grandi dinosauri sauropodi, i più grandi animali che abbiano mai camminato sul pianeta.

Questo ritrovamento permette di capire meglio l’evoluzione nel tempo dell’Africa settentrionale e delle sue faune a grandi vertebrati. I dati raccolti saranno confrontati non solo con i fossili europei, che rappresentano i loro “vicini” virtuali, ma anche con i fossili rinvenuti nell’Africa centrale, in particolare nel Niger, e inoltre Brasile e Argentina.

Una nuova missione sul terreno è in fase di studio per il prossimo autunno. Il timore comune è che le condizioni climatiche estreme della regione e atti vandalici sul sito possano danneggiare quanto ancora è rimasto da scavare.

È doveroso un grazie a tutte le persone che hanno partecipato al duro lavoro di preparazione delle missioni e dello scavo (nonostante il caldo e le tempeste di sabbia).

Il gruppo che ha operato il ritrovamento era composto da: Federico Fanti, Michela Contessi, Frederico Scarelli, Aldo Bacchetta, Pino Rivalta, Giovanni Gabbianelli, Luigi Cantelli (Dipartimento di Scienze della Terra e Geologico-Ambientali, I.G.R.G. [Integrated Geoscience Research Group], Museo Geologico Giovanni Capellini, Alma Mater Studiorum – Università di Bologna), Mohsem Hassine e Habib Aljane (Office Nationales des Mines, Tunisi).