In principio fu l’osservazione a occhio nudo. In un imprecisato punto dell’Africa sub-sahariana, dominato dallo spettacolo della volta celeste, il primo uomo alzò lo sguardo verso il cielo e le stelle con l’istintiva speranza di trovare in quell’immenso e imponente spettacolo una spiegazione per la propria esistenza e per l’esistenza del mondo. Iniziò una traiettoria di conoscenza dei mondi lontani che tuttora – grazie a uno sviluppo tecnologico che ha avuto in Galileo la discontinuità tecnologica più rilevante – non cessa di regalare nuove e meravigliose scoperte all’uomo moderno, offrendogli una sorprendente possibilità di legame fra sé e i confini del cosmo.



L’astronomia è la scienza più antica e negli ultimi cento anni ha visto uno sviluppo eccezionale, differenziandosi in più specializzazioni sulla base dalle diverse bande dello spettro elettromagnetico che si vanno a scandagliare: così, a fianco della tradizionale astronomia ottica, sono nate la radioastronomia, l’astronomia a raggi X e a raggi gamma e l’astronomia a infrarossi. Ogni nuova “astronomia” è nata grazie all’adozione di tecnologie caratteristiche. I progressi tecnologici hanno consentito osservazioni a profondità e capacità di precisione sbalorditive, dapprima rendendo più potenti gli strumenti che sulla superficie terrestre raccolgono i deboli segnali che ci arrivano dalle profondità del cosmo, in seguito, negli ultimi due decenni del ventesimo secolo, portando gli strumenti al di là dell’atmosfera, migliorando così le osservazioni in modo eccezionale.



In questa corsa tecnologica al cielo, una tappa fondamentale è stata il lancio dello Hubble Space Telescope (Hst) all’inizio degli anni ’90: il suo telescopio, di non grandi dimensioni – 2,7 metri di diametro -, che vive sospeso a 600 km di altezza sopra le nostre teste compiendo un giro intorno al globo ogni 90 minuti, è lo strumento che ha cambiato per sempre la nostra immagine del cosmo, andando a rivelare dettagli insospettabili in oggetti lontani anche miliardi di anni luce.

Nonostante alla Nasa ci pensassero da più di 40 anni, Hst era garantito per lavorare alcuni anni: ormai lo strumento, anche dopo una serie di interventi in orbita da parte di astronauti della Nasa, è prossimo a tagliare il traguardo dei 20 anni di operatività, e non pochi altri anni potrebbe restare lassù a proseguire il suo straordinario lavoro. Ma, secondo una dinamica intrinseca all’incedere della conoscenza scientifica, anche Hst verrà pensionato e il suo posto verrà preso, non prima del 2014, da uno strumento nuovo, più grande e potente: il James Webb Telescope (Jwst).



Le sue caratteristiche sono differenti da Hst: innanzitutto le osservazioni che condurrà si situano tutte nel range dell’infrarosso, un tipo di radiazione non rilevabile dall’occhio umano, ma che accompagna l’esistenza stessa dei corpi, in quanto prodotto della temperatura; in secondo luogo, la posizione che andrà a occupare è differente: Jwst si situerà a un milione e mezzo di chilometri dalla Terra, in un punto di stabilità rispetto all’attrazione gravitazionale del Sole, della Terra e della Luna chiamato punto Lagrangiano L2; infine, il telescopio Jwst è molto più grande: un grande specchio di diametro pari a 6,7 metri costituito da una serie di esagoni convoglierà la luce raccolta in uno specchio secondario e da qui agli strumenti di rilevazione.

Gli strumenti di Jwst sono quattro e di essi due sono evoluzione diretta di strumenti già presenti su Hst. Jwst deve sottostare a condizioni estreme, soprattutto dal punto di vista termico: pur trovandosi in un ambiente a circa 3 K – cioè 3 gradi sopra lo zero assoluto, a -271 gradi Celsius -, non ha difese rispetto alla radiazione solare, che genererebbe un vero e proprio shock termico sulle superfici che va a colpire in spazio aperto, oltre ovviamente a disturbare le osservazioni con la sua ingombrante presenza nel cielo osservato. Si avrebbe perciò una parte dello strumento, quella verso il Sole, a una temperatura molto più alta rispetto alla parte in ombra. Senza copertura, questa situazione genererebbe delle problematiche tecnologiche insormontabili dal punto di vista del corretto funzionamento dello strumento.

Ecco allora che gli ingegneri e i fisici della Nasa hanno pensato di adottare una soluzione “classica”, ma allo stesso tempo innovativa. Per riparare i rivelatori dal carico termico dovuto alla radiazione solare si usa generalmente una serie di schermi – per esempio, il satellite Planck ne ha tre – che disperdono il calore accumulato, proteggono dalle radiazioni e stabilizzano il comportamento dello strumento.

Il problema di Jwst sono le sue dimensioni: “difendere” lo specchio di 6,7 metri e il suo sistema ottico vuole dire realizzare schermi di dimensioni difficilmente trasportabili. La soluzione trovata è semplice e ingegnosa: gli schermi sono costituiti da fogli di materiale plastico rivestiti da un sottile strato di una lega alluminica che si srotolano una volta che lo strumento è arrivato a destinazione, un po’ come “ombrelli cosmici” di enormi dimensioni, 20 metri per 12, come quelle di un campo di tennis. In questi giorni gli scienziati stanno testando il funzionamento del meccanismo responsabile dello “srotolamento”.

Le caratteristiche degli schermi sono ovviamente particolari: il materiale di cui sono fatti è chiamato Kapton ed è stabile e resistente in un range di temperature molto ampio, da 36 a 650 K. Una volta disteso, la serie dei film che costituiscono lo schermo solare crea un differenziale di temperatura pari a 330 K fra lo schermo più caldo e quello più freddo, grazie anche al fatto che l’uso di strati in successione consente al calore immagazzinato di essere disperso prima che esso raggiunga lo strato successivo, e quindi creando un calo sostanziale di temperature fra uno l’altro.

Aspettando il 2014, possiamo già immaginare il contributo suggestivo di questo nuovo gioiello tecnologico, che letteralmente “a vele spiegate” ci condurrà certamente verso nuove e incredibili scoperte, offrendo un’osservazione nuova e ancora più approfondita delle meraviglie dell’universo, fino ai confini del cosmo.