Il capodoglio. Nella versione albina è l’oscuro protagonista di uno dei più importanti e -giustamente- celebrati romanzi di tutti i tempi, il grande Moby Dick di Herman Melville. Le sue dimensioni sono fuori dal comune: terzo dietro solo all’immensa Balenottera Azzurra (fino a 33 metri) e alla Balenottera Boreale, il maschio di capodoglio è lunghi poco meno di 20 metri e può arrivare a pesare anche 50 tonnellate. A Nantucket, luogo di balenieri nel quale è ambientata la partenza del romanzo di Melville, è però conservata una mandibola di Capodoglio lunga 5,5 metri: il proprietario doveva perciò essere lungo circa 25 metri e pesare più di 100 tonnellate.
Per qualche motivo la caccia intensiva a questi enormi abitanti dei mari, legata al prezioso olio contenuto nella loro imponente testa, lo spermaceti, ha di fatto eliminato la ricorrenza di dimensioni oltre i 18-20 metri nella popolazione mondiale dei capodogli. Oggi per fortuna la caccia al capodoglio non è più praticata a quei livelli e lo studio dei comportamenti è diventata un’attività scientifica impegnativa che si estende anche per decenni (la vita di questi cetacei durare anche più di 70 anni).
Fra le sorprese emerse dallo studio delle balene, un posto particolare va assegnato al fatto che i grandi cetacei utilizzano dei sistemi di comunicazione fonetica standard. Esistono cioè delle vere e proprie “parole”, prodotte per comunicare con esseri della stessa specie anche a grande distanza, poiché le onde sonore in acqua viaggiano molto più rapidamente che in aria. Nei misticeti, come le megattere e le balenottere, questi suoni sono dei veri e propri vocalizzi, tanto che per le megattere si parla di “canto” delle balene, mentre negli odontoceti, come il capodoglio, l’orca e il delfino, i suoni prodotti sono in realtà combinazioni di “click” e fischi più o meno acuti. Le “parole” negli odontoceti sono perciò combinazioni particolari di “click”, con certe ricorrenze e spaziature temporali.
L’americano Shane Gero, appassionato studioso del comportamento di questi giganti del mare, con un Ph. D. proprio dedicato allo studio dei capodogli, ha dato vita nel 2005 a un progetto per lo studio dei capodogli in Dominica, il “Dominica sperm whale project”. Il perché situare la base di un progetto del genere in un paradiso caraibico è presto detto, al di là di qualsiasi maligna – e invidiosa – insinuazione si possa fare: la Dominica infatti è uno dei pochissimi posti in cui vivono stabilmente gruppi di capodogli. Normalmente, infatti, le abitudini di questi cetacei sono nomadi, e -da soli se maschi adulti, o in gruppi più o meno numerosi, di solito di femmine con bambini- solcano i mari arrivando ad attraversare interi oceani.
I risultati degli studi di Gero e dei suoi accoliti sulle “discussioni” fra capodogli ha portato a una scoperta quantomeno inaspettata. Si sapeva già che “parole” diverse (le parole sono dette “codas” dagli studiosi) indicano cose differenti, ma ora si è scoperto che una balena può distinguere chi sta “parlando” in base ad alcune proprietà sonore dei codas. Un po’ come accade a noi, quando distinguiamo una voce di un amico in mezzo ad altre voci apparentemente indistinte.
Le differenze fra una “pronuncia” e un’altra sono emerse dopo una campagna di un paio di mesi al largo di Dominica, seguendo alcuni gruppi storici e molto ben conosciuti di cetacei, così ben conosciuti che a ogni componente è stato dato un nome. A cosa potrebbe servire una capacità di questo tipo? Immedesimandosi per un attimo nella vita di un gruppo di capodogli, è abbastanza immediato capirlo: i gruppi di capodogli sono composti per lo più da femmine e piccoli. É perciò importante poter avere uno strumento di riconoscimento dei componenti dei gruppi, soprattutto dei più piccoli, che vanno protetti da eventuali aggressori, o di cui bisogna verificare la vicinanza in tempi rapidi. I capodogli «hanno vita nomade -spiega il professor Hal Whitehead, che fa parte del progetto-, perciò nella loro vita la cosa più importante che hanno sono i loro compagni».
La minaccia perciò, oltre alla caccia da parte di alcuni paesi ancora troppo legati al commercio di tutto ciò che si può estrarre dalle balene, è l’inquinamento acustico: il numero crescente di imbarcazioni, le bombe di profondità per rilevazioni geologiche, i sonar militari aumentano il rumore di fondo e mascherano la voce dei capodogli. “Nessuno vuole vivere in un concerto rock”, fa notare Gero, ma c’è dell’altro: i capodogli si inabissano a profondità molto elevate, oltre i mille metri, fino al punto in cui le acque dell’oceano diventano nere, confidando per la navigazione solo sul suono. Troppo rumore potrebbe avere conseguenze drammatiche per ognuno di loro.
Molte sono le caratteristiche straordinarie di questi maestosi e affascinanti animali e i partecipanti al “Dominica project” vivono il loro studio con grande passione. Ma la storia e le abitudini dei capodogli non sono che un piccolissimo fenomeno nell’immenso scenario della vita negli oceani. Le scoperte degli ultimi anni ci mostrano un ambiente in larga parte sconosciuto, un vero e proprio mondo alieno, capace di svelarci tesori per noi impensabili. Chi studia da tempo gli abissi lo sa bene e sa quante ricchezze di conoscenza ci aspettano: “è frustrante il fatto di sapere di più sulla Luna che sugli oceani”, osserva Gero con disappunto. Come dargli torto?