Con l’ultimo suo libro, “Il mio infinito”, Margherita Hack ci ripropone una storia dell’astronomia, da Talete ai giorni nostri, già apparsa in varie forme e sotto titoli diversi nei suoi molti volumetti divulgativi. La novità risiede in una serie di affermazioni, intercalate al testo storico-scientifico, volte soprattutto a dimostrare l’effetto di contrasto esercitato dalla Chiesa, o meglio dalle “caste sacerdotali” come l’autrice le chiama, nei confronti della libera ricerca scientifica. Infine, nell’ultimo capitolo “L’ipotesi di Dio”, la scienziata atea affronta il tema del rapporto attuale tra scienza e fede e offre la sua visione su Dio e sulla vita, riassumendo in forma sistematica le opinioni espresse a più riprese in interviste e interventi radiofonici e televisivi.
Lo stile, come sempre, è autorevole, fluido e accattivante e induce il lettore a recepire ogni affermazione come indiscutibilmente vera. Purtroppo così non è, e proprio in quella parte che dovrebbe essere di competenza professionale dell’astronoma più famosa d’Italia.
Per esempio, la soluzione “cosmologica” che la Hack offre del paradosso di Olbers (“perché il cielo notturno è buio?”), è fallace perché si limita ad attribuirla unicamente al tempo finito dell’evoluzione dell’universo (circa 14 miliardi di anni) e non ne menziona invece la vera causa, ovvero l’espansione dello spazio-tempo. Infatti, il cielo è sempre stato completamente luminoso, ma per effetto dell’espansione la sua luminosità si è via via spostata dalla luce visibile a lunghezze d’onda più lunghe ed oggi ci appare come radiazione di microonde, rilevabile solo dagli strumenti spaziali.
È curioso come l’autrice, che riporta nel suo libro le immagini del fondo cosmico a microonde e cita gli esperimenti spaziali che le hanno ottenute, non ne evidenzi la rilevanza in connessione con il famoso paradosso. Similmente, parlando di fisica quantistica, pasticcia un po’ con la formula del principio di indeterminazione e induce a credere che il vuoto quantico sia equivalente al nulla.
Dettagli? Pignoleria? Non credo: la buona divulgazione non dovrebbe mai travisare od oscurare i risultati consolidati della ricerca scientifica, soprattutto quando, come in questo caso, il lettore medio non è in grado di valutare criticamente la correttezza delle affermazioni. La professoressa triestina non è comunque nuova nell’inventare spiegazioni “pseudoscientifiche”: in una trasmissione televisiva recente affermava che per deviare dal suo corso un asteroide sarebbe stato sufficiente farlo “attrarre” da una grossa astronave! Forse anche le nozioni di meccanica celeste vanno riviste, oppure sarebbe sufficiente avere l’onestà di chiedere il parere di un collega veramente esperto della materia.
Passando alla parte dedicata al rapporto tra la ricerca scientifica e la religione, in essa emergono innanzitutto il materialismo assoluto dall’autrice (esiste solo la materia ed è eterna) e parallelamente risulta evidente come il suo proclamato ateismo sia piuttosto un anticlericalismo di stampo antico, che dipinge il Magistero della Chiesa cattolica affannosamente impegnato a mantenere il “potere”, terrorizzando i fedeli con lo spauracchio del fuoco eterno. È questo in fondo l’ostacolo principale ad un sereno dibattito con Margherita: l’immagine del Cristianesimo che si è radicata nella sua mente, poco ha a che fare con il pensiero dei Padri della Chiesa e con la teologia attuale.
L’esempio più lampante lo offre lei stessa nella penultima frase del libro: “Mi si permetta un’osservazione provocatoria: Dio dovrebbe essere contento che i suoi figli, fatti a sua immagine e somiglianza, si avvicinino sempre più ai segreti della sua Creazione.” La scienziata, evidentemente senza saperlo, sta parafrasando nella sua “provocazione” il pensiero di Tommaso d’Aquino ove, nella Summa contra Gentiles (Libro I, Cap. 7), dimostra l’impossibilità di ogni contrasto tra conoscenza razionale della realtà e conoscenza per fede, per la evidente verità teologica che il Creatore non può mai trarre in inganno i suoi figli.
Speriamo che l’aver inconsapevolmente citato il Doctor Angelicus non turbi il sonno alla scienziata atea: nessuno vuol negare che in epoche passate il limpido pensiero “scientifico” di Tommaso e del suo maestro Alberto Magno sia stato dimenticato o travisato (vedi il caso Galileo), ma oggi la situazione è diversa e la sua affermazione suona datata e dimostra come ci sia la necessità di riportare il confronto tra ateismo e scelta di fede ad un livello più informato e meno superficiale.
A onor del vero, nelle conclusioni, la Hack ammette che oggi la Chiesa non contrasta più la ricerca scientifica a-biologica e sembra ammettere che riguardo alla fede siamo di fronte ad una scelta personale in quanto “… tanto il credente che il non credente non possono dimostrare scientificamente l’esistenza o la non esistenza di Dio, si tratta in ambedue i casi di fede, di risposta a bisogni personali diversi”. Sembrerebbe un radicale cambiamento nel pensiero della Hack, se paragonato a quanto da lei espresso in molte interviste, anche recenti.
Dopo poche righe però l’ordine viene ristabilito: “Chi non accetta la fede, e quindi non accetta la mediazione col mistero della vita di nessuna casta, ritiene che credere in Dio sia un modo infantile di spiegare tutto ciò a cui la scienza non è in grado di dare risposte …”. Scelte di fede non equivalenti, quindi: la fede nella sola ragione, quest’ultima generata autonomamente dall’evoluzione della materia, è superiore all’infantile e retrograda credenza in Dio. Infatti – afferma l’autrice nella lapidaria frase che conclude il libro – “Non potranno mai esserci limiti alla conoscenza, perché non si potrà mai limitare la curiosità della mente. E solo quando riusciremo a creare esseri viventi potremo dire di aver capito veramente che cos’è la vita”.
Viene spontaneo chiedere a Margherita: quando saremo riusciti nell’intento, quell’esserino che avremo “creato” (o meglio “assemblato”), sarà in grado di amare? Saprà sorridere e piangere chiedendo conforto? Sarà in grado di decidere autonomamente ciò che è bene e ciò che è male, in maniera imprevedibile rispetto al software che gli è stato bootstrappato nel cervello dal suo assemblatore?
Questa tua frase, Margherita, fa risaltare una “assenza” che si percepisce via via leggendo il tuo libro ed esplode tristemente nel finale: nel “tuo infinito” non c’è spazio per l’amore. Eppure l’amore tu lo conosci e lo riconosci: ami le tue stelle e l’universo, ami con profondità discreta la tua famiglia, ami i tuoi libri, trasferisci con amore e generosità ciò che sai al tuo pubblico (ti ho visto ripetere una conferenza per due volte di seguito perché la sala non riusciva a contenere tutti i convenuti), ami i tuoi gatti e la natura tutta e riconosci il valore etico dell’essenza dell’annuncio cristiano “ama il prossimo tuo come te stesso”.
Se tu avessi il coraggio di sollevare il lembo del velo d’amore che ci (e ti) ricopre, scopriresti che il Dio di cui neghi l’esistenza non è affatto il vecchio severo che attende impassibile in cielo di premiare i buoni e castigare i cattivi: è molto più vicino, qui ed ora.