Il Grimsvotn non demorde: ha deciso di far sentire il suo possente ruggito e di inviare minacciosi segnali di fumo in tutta Europa. A raccogliere questi segnali con impotente preoccupazione ci sono le compagnie aeree, che temono il bis della scorsa primavera quando i voli nello spazio europeo hanno subito un arresto devastante. E non riescono a dar loro grande conforto neppure i geologi, che pur  avendo l’Islanda tra i loro luoghi privilegiati di indagine, hanno ben poche possibilità di prevedere il comportamento di un colosso come il Grimsvotn.



Intanto i centri specializzati nelle previsioni meteo e nei modelli della circolazione atmosferica si stanno impegnando nelle simulazioni, permettendoci di seguire lo spostamento presunto delle polveri distinguendo tra le innocue concentrazioni inferiori ai 2 milligrammi per metro cubo e quelle allarmanti superiori ai 4 mg/m3, limite per lo stop ai voli. Nei modelli computerizzati del MET Office inglese, ad esempio, la macchia rossa di queste ultime tenderebbe a scomparire dalle mappe della zona atlantica dal 28 maggio.



Su questi temi abbiamo interpellato Michael Marani, geologo dell’ISMAR-CNR di Bologna.

Per l’attività del Grimsvotn si deve parlare di risveglio improvviso o siamo di fronte a un fenomeno chiaramente prevedibile?

Trattandosi di un vulcano che ha avuto l’ultima eruzione nel 2004, dal punto di vista geologico, era prevedibile un suo risveglio – non in senso della data e l’ora ma in termini di ricorrenza storica per il vulcano in questione. In pratica, considerando la linea tempo, l’eruzione di un vulcano con un intervallo di soli cinque anni può semplicemente rappresentare un unico ciclo di attività.    



Che cosa determina la particolare entità delle emissioni, la loro potenza e la loro natura chimica?

In generale, l’esplosività di un vulcano dipende principalmente dal chimismo del magma (magmi acidi sono più viscosi, e quindi ci vuole “più pressione per espellerli”) e dal contenuto di gas volatili (H2O, CO2 in primis) che hanno effetto “propellente” all’atto della eruzione. In Islanda esiste un ulteriore fattore non trascurabile: le eruzione spesso (come per il Grimsvoten) avvengono sotto la calotta di ghiaccio che ricopre parte dell’isola; il magma, salendo, scioglie il ghiaccio e arriva in superficie. In questi casi il contatto della lava con il ghiaccio sciolto (acqua!) crea un eruzione freatomagmatica, altamente esplosiva e generatrice, proprio per il contatto stretto fra magma e acqua e la esplosività, di una quantità notevole di polvere vulcanica.

 

Si riesce a prevedere la durata del fenomeno eruttivo? Cosa consente di fare previsioni di questo tipo?

 

No, la durata di una fase eruttiva non è prevedibile a priori. Osservando i processi in corso si possono avere, durante le eruzioni, delle avvisaglie in termini dei prodotti emessi e in base alle variazioni di emissione dei gas.

 

In Europa ci sono altre situazioni potenzialmente candidate a comportamenti catastrofici? E in Italia?

 

L’espressione “comportamenti catastrofici” non ha una definizione univoca. In Europa, il rischio vulcanico (pericolosità + vulnerabilità in termini semplici) può esserci nelle Isole Azzorre, nell’Islanda stessa e forse (più per collassi gravitativi) nelle Canarie. In Italia, in questo caso, si può considerare catastrofica una eventuale eruzione pliniana del Vesuvio.