Ora che il referendum sul nucleare è alle spalle, è possibile tornare a riflettere sul futuro energetico del Paese senza dover cedere alla tentazione degli opposti catastrofismi. Il tema da cui ripartire è il grande assente dai dibattiti delle ultime settimane: il “mix energetico”.
Nella sua scelta “pro-atomo”, infatti, il Governo attuale si era posto un obiettivo di mix energetico che attribuiva al nucleare il 25% della produzione, mentre un altro 25% sarebbe andato alle rinnovabili e il restante 50% alle fonti fossili. Ora che la via del nucleare è preclusa (e in attesa dell’annunciato piano energetico nazionale), è lecito chiedersi se sia possibile coprire quel 25% in altro modo. Possono farlo le rinnovabili? Oppure, come è stato scritto e detto, le rinnovabili potranno coprire solo una quota marginale e non rilevante della produzione energetica nazionale?
Non si può rispondere a queste domande senza prima sgombrare il campo dal doppio binomio ideologico “rinnovabili=sinistra” e “nucleare=destra”. Sono schemi sciocchi, che impediscono una minima consapevolezza di quali siano i veri fattori in gioco. Le rinnovabili non sono un giochino per ambientalisti e anime “green”, così come il nucleare non è il male assoluto che tanti hanno descritto.
Proviamo a rispondere alle domande sul futuro mix energetico senza pregiudizi, basandoci sui numeri forniti dai protagonisti della distribuzione di energia elettrica in Italia: Enel e Terna. Per semplicità e per maggiore chiarezza circoscriviamo il tema energetico a quello dell’energia elettrica. Quanto pesano oggi le rinnovabili sul totale della produzione italiana? Guardiamo i dati più recenti: nel mese di maggio 2011 le rinnovabili hanno coperto il 25,7% della produzione italiana di energia elettrica e il 22,5% della richiesta nazionale di energia elettrica (dati disponibili su www.terna.it). Nel 2008 la fetta delle rinnovabili sulla produzione totale era pari al 16,7%, salita al 21,2% nel 2009 (fonte Enel). Un crescita di tutto rispetto: ben 9 punti percentuali acquisiti nel giro di tre anni.
C’è chi si è premurato di sottrarre la voce “idroelettrico” alla quota delle rinnovabili. Operazione discutibile e pretestuosa, ma proviamo ad andarci dietro. Considerando solo le “nuove rinnovabili”, o le “rinnovabili emergenti”, cioè biomasse, biogas, geotermico, eolico e solare, la loro quota sul totale produzione di energia elettrica in Italia era del 4,6% nel 2008, del 5,9% nel 2009, mentre nel mese di maggio 2011 questa quota è arrivata al 7,65% (fonti: Enel e Terna). Si capisce che quando si parla e si scrive di rinnovabili che coprono solo l’1% di produzione di energia elettrica a livello mondiale, si descrive una realtà che non è quella italiana, si favorisce un colossale fraintendimento, e quindi si fa un pessimo servizio alla verità.
Quel che più conta è che le cifre che abbiamo riportato indichino un trend di crescita evidente, che sta portando un contributo importante e significativo al fabbisogno italiano di energia elettrica. Non c’è dubbio che le rinnovabili possano arrivare a coprire quel 25% di produzione che il Governo si aspettava dall’atomo, in tempi molto più rapidi di quelli necessari per mettere in funzione la prima centrale nucleare.
In merito alla presunta incapacità delle rinnovabili a rispondere alle richieste di energia elettrica, va fatta una precisazione sullo scenario attuale. In questo momento, l’Italia si trova in una fase di eccessiva capacità produttiva (dovuta anche al calo del fabbisogno che si è verificato dal 2008 a causa della crisi economica). Oggi siamo costretti a sottoutilizzare alcuni impianti nuovissimi, tra cui anche centrali a gas a ciclo combinato (le più innovative ed efficienti). E in uno scenario del genere, stiamo costruendo altre 6 centrali termoelettriche, mentre altre 30 sono in attesa di autorizzazione. Sono questioni complesse e articolate (basti dire che in questa situazione continuiamo a importare energia elettrica dall’estero per volumi compresi tra il 10% e il 15% del fabbisogno nazionale), che meriterebbero un approfondimento specifico. Possiamo però dire che l’Italia non è sull’orlo del blackout energetico.
Si dice: eolico e fotovoltaico non sono programmabili, e il sole di notte non funziona. Certo, ma basterebbe guardare il diagramma dei consumi di energia elettrica (sul sito di Terna è disponibile aggiornato mese per mese) per fare la semplicissima scoperta che la curva dei consumi segue esattamente il ciclo delle ore di luce: i picchi di consumi si collocano nella parte centrale della giornata, quando il sole splende alto nel cielo. Il futuro è ancora più promettente: nei prossimi anni inizierà l’era delle cosiddette smart grid, le reti elettriche intelligenti capaci di costruire un’architettura più razionale nella distribuzione dei flussi di energia elettrica per allineare domanda e offerta. Avrà un minor impatto, ma è comunque significativa, la tecnologia che permetterà di utilizzare le auto elettriche come accumulatori di energia elettrica, che immagazzinano durante la giornata (quando sono ferme a far nulla sotto un parcheggio) e la mettono a disposizione la sera a casa. Ripeto, si tratta di applicazioni marginali, ma che indicano una strada percorribile per il futuro.
Altra accusa: le rinnovabili e soprattutto il fotovoltaico costano troppo, e vengono pagate dalle nostre bollette. Sbagliato. Negli Stati Uniti durante l’anno 2010 per la prima volta il costo del kWh prodotto da fonte solare è sceso sotto il prezzo del kWh prodotto dal nucleare. E da allora la forbice tra i costi si è aperta e continua ad ampliarsi. Vero che in Italia il fotovoltaico è pagato dalle nostre bollette. Ma chi si straccia le vesti per questo, dovrebbe spiegarci perché non ha gridato allo scandalo per il fatto che da decenni paghiamo in bolletta i costi del decomissioning nucleare e di altre porcherie che vanno ad arricchire gli oligopolisti delle fonti fossili.
Il governo ha deciso di incentivare il fotovoltaico, ma si tratta di un sostegno che ha una data di scadenza. Dal 1 gennaio del 2017 chi installa un impianto fotovoltaico non avrà più diritto ad alcun incentivo. Si tratta quindi di un sostegno a un’industria nascente che porta energia pulita, lavoro e ricchezza. Un sostegno che dura pochi anni, il tempo per permettere a questa industria di irrobustirsi. È o non è più ragionevole che incentivare le automobili dopo che esistono da 100 anni?
E si potrebbe andare avanti ancora a lungo a smontare molte delle leggende nere che hanno reso impossibile una valutazione serena del contributo che il fotovoltaico, l’eolico e le altri fonti pulite possono portare. Le rinnovabili non sono certo la soluzione a tutti i mali del mondo, ma hanno due grandi vantaggi. Innanzitutto non inquinano: e le emissioni di CO2 hanno un costo, un costo pesante, così come pesanti sarebbero le multe per l’Italia se non riuscissimo a raggiungere gli obiettivi comunitari del 20-20-20 che stiamo ottenendo proprio grazie alle rinnovabili.
Inoltre, con grande accortezza e lungimiranza, il Governo ha varato un Conto energia che riduce pesantemente gli incentivi per i grandi parchi solari a terra (bene!) e favorisce invece gli impianti fotovoltaici realizzati sui tetti e sulle piccole e medie coperture industriali e commerciali, in un’ottica di risposta al fabbisogno energetico dell’utenza residenziale e delle Pmi. In questo modo si favorisce il modello della generazione distribuita, portatore di immediati vantaggi economici (leggi azzeramento della bolletta), piuttosto che le grandissime centrali realizzate dagli oligopolisti dell’energia.
Ogni volta che un impianto fotovoltaico installato sul tetto di una casa viene allacciato alla rete, quella casa, quel consumatore, quell’azienda smettono di pesare sul fabbisogno nazionale di energia elettrica e si producono da soli l’energia di cui hanno bisogno. È una cosa buona o cattiva? Sicuramente cattiva per i signori dell’energia elettrica, che perdono un cliente e una parte dei loro generosi profitti.