Quanto è grande il Sistema Solare? Dove si trovano i suoi confini? Come individuarli? Cosa accade quando si superano i confini della nostra “casa” all’interno della galassia? Queste e altre domande di interesse astronomico sono all’origine della missione Voyager, la più lunga missione spaziale mai realizzata dall’uomo, in funzione da ben 33 anni (ne abbiamo parlato su queste pagine proprio un anno fa, in occasione del superamento dei 12 mila giorni di missione).
Gli antichi ritenevano che l’universo fosse costituito da una serie di sfere di materiale più o meno perfetto e incorruttibile e che queste sfere in rotazione ospitassero al loro centro la Terra. Copernico e Galileo aiutarono l’uomo a mettere correttamente al centro del nostro spazio il Sole, ma erano ancora persuasi dell’esistenza delle sfere.
Abbandonate le sfere per la descrizione delle orbite dei pianeti, i moderni astronomi si sono visti costretti a utilizzare ancora l’idea della sfera per descrivere le parti esterne del Sistema Solare. Sappiamo infatti che il Sole genera il vento solare, un flusso ininterrotto di particelle, atomi di idrogeno e di elio ionizzati, cioè protoni e particelle alfa, che arriva ben oltre l’orbita di Plutone: questa regione di spazio galattico nel quale sono presenti campo magnetico e vento solare viene detto Eliosfera. È una vera e propria “bolla” nella quale la densità delle particelle emesse dal nostro Sole riescono a “respingere” il “substrato” interstellare, costituito anch’esso da protoni e particelle alfa.
Fra l’Eliosfera e il mezzo interstellare si frappone una regione di spazio chiamata Eliopausa, nella quale termina l’effetto del vento solare e si inizia a sentire l’incidenza sempre maggiore del mezzo interstellare. Fra Eliosfera ed Eliopausa si trova la sottile zona chiamata Termination Shock, zona in cui il vento solare rallenta fino a velocità subsoniche a causa delle interazioni con il mezzo interstellare, che causano compressione, riscaldamento e cambiamenti nel campo magnetico.
Fino a oggi si pensava che in prossimità dell’Eliopausa le particelle del vento solare subissero un rallentamento improvviso della loro velocità di allontanamento dal Sole. La sonda Voyager 1 ha invece scoperto che le particelle del vento solare rallentano gradualmente prima di arrivare quasi a fermarsi. Questa scoperta è tanto inattesa quanto importante: ci costringe infatti a rivedere le nostre convinzioni relative alle parti esterne del Sistema Solare. La spiegazione del fenomeno è perciò il prossimo obiettivo degli scienziati.
La scoperta è stata possibile per l’uscita del Voyager 1 dall’Eliosfera: grazie al suo Low-Energy Charged Particle Instrument e sfruttando alcuni dati ancora non pubblicati del Magntospheric Imaging instrument della sonda Cassini (di cui abbiamo già parlato qui per altre scoperte) si sono raccolte le informazioni utili per la descrizione di questa regione “guscio” del Sistema Solare.
Le misure hanno indicato un rallentamento fino allo zero della velocità di allontanamento delle particelle dal dicembre del 2010 fino almeno al febbraio 2011, evidenziando la sottile e imprevista zona di transizione. Gli autori di questa scoperta, pubblicata su Nature, attendono impazientemente il momento in cui la sonda Voyager varcherà il confine ultimo del Sistema Solare, entrando nel mezzo interstellare. “Esiste un instante nel quale noi varcheremo quella frontiera”, dice Tom Krimigis, dei laboratori di Fisica Applicata della Johns Hopkins University, che ha coordinato le misure dei due strumenti, “e questo è il primo segno che il momento è proprio vicino”.
Le analisi indicano che il confine fra lo spazio interstellare e la bolla di particelle che il Sole diffonde intorno a sé è compreso fra i 16 e i 23 miliardi di chilometri, con un valore atteso intorno ai 18 miliardi di chilometri, proprio la distanza alla quale si calcola essere attualmente il Voyager. Si capisce perciò bene l’impazienza dei ricercatori. “Questi calcoli ci dicono che siamo vicini, ma quanto?”, si chiede Ed Stone, scienziato affiliato al Progetto Voyager, che ha sede al CalTech di Pasadena, “non lo sappiamo, ma il Voyager 1 percorre un miliardo a mezzo di chilometri ogni tre anni, perciò potremmo non dover aspettare troppo a lungo…”
Un po’ come dei moderni Ulisse, questi scienziati si stanno avvicinando fisicamente ai confini del mondo conosciuto: le Colonne d’Ercole non sono più di pietra, ma impalpabili come il mezzo interstellare, poche minuscole particelle al centimetro cubo, eppure il loro significato ci elettrizza allo stesso modo.
E ora, cosa ci aspetta al di là di esse? La sfida è aperta e il cammino già compiuto dal nostro “viaggiatore” cosmico è uno sprone a continuare, come baldanzosamente dichiarava Richard Feynman: “A una maggiore conoscenza si accompagna un più insondabile e meraviglioso mistero, che spinge a penetrare ancora più in profondità. Mai preoccupati che la risposta ci possa deludere, con piacere e fiducia solleviamo ogni nuova pietra per trovare stranezze inimmaginabili. […] Certamente una grande avventura!”.