Con la sentenza n. 5532, nei giorni scorsi il Tar del Lazio ha annullato il cosiddetto decreto Zaia (firmato anche da altri due ministri), con il quale nel marzo 2010 l’allora ministro delle Politiche Agricole aveva negato all’agricoltore friulano Silvano Dalla Libera la possibilità di coltivare mais transgenico resistente agli insetti regolarmente autorizzato nell’Unione europea e importato come mangime animale. Molti ora chiedono al ministro Saverio Romano di avanzare in sede Ue la cosiddetta clausola di salvaguardia, per salvare la peculiarità agro-alimentare italiana.



D’altra parte cresce nella comunità scientifica internazionale la convinzione non solo che gli Ogm non facciano male e che non siano più pericolosi delle varietà convenzionali, ma che abbiano diversi benefici: per la salute, per l’ambiente e per i coltivatori. Basterà ricordare le principali conclusioni della Settimana di Studio della Pontificia Accademia delle Scienze del maggio 2009 “Le piante transgeniche per la sicurezza alimentare nel contesto dello sviluppo”.



Venivano richiamati alcuni gravi problemi planetari, a partire dalla denutrizione (che tocca oltre un miliardo di persone); ma anche le conseguenze previste dei cambiamenti climatici e la relativa riduzione della disponibilità d’acqua per l’agricoltura avranno ripercussioni sulla possibilità di alimentare l’accresciuta popolazione mondiale. Le pratiche agricole attuali – dichiara il documento – non sono sostenibili, come è dimostrato dall’enorme perdita di terreno agricolo superficiale e dall’applicazione di quantità inaccettabili di pesticidi in quasi tutto il mondo. Quindi, «l’applicazione appropriata dell’ingegneria genetica e di altre moderne tecniche molecolari in agricoltura contribuisce ad affrontare alcune di queste sfide». Peraltro, «non vi è nulla di intrinseco, nell’impiego dell’ingegneria genetica per il miglioramento delle colture, che renderebbe pericolose le piante stesse o i prodotti alimentari da esse derivati».



Commentando la nuova sentenza, Piero Morandini, del Dipartimento di Biologia dell’Università degli Studi di Milano, osserva che «il decreto era un obbrobrio giuridico, perché non riconosceva la legislazione europea in materia, ma ancora di più era un insulto al buon senso e alla ragione». Morandini ricorda una serie di obbrobri normativi, iniziata nel 2000 con il cosiddetto “decreto Amato”, voluto da Pecoraro Scanio, che vietava l’importazione di mais transgenico in Italia. Quel decreto è stato annullato dopo quattro anni dal Tar del Lazio.

Nel 2001 arriva il Decreto Legislativo 212/2001 che stabilisce, tra le varie cose, che occorre l’approvazione del Ministero (per l’Agricoltura) per poter coltivare piante transgeniche. Peccato che tale decreto non sia mai stato notificato a Bruxelles e che vada contro le norme europee.

Nel 2005 il ministro Alemanno emana la legge 5/2005, che avrebbe dovuto normare la coesistenza tra le diverse colture (convenzionale, transgenica e biologica) senza escluderne nessuna. «Di fatto, e in barba alla Raccomandazione Europea sulla Coesistenza (la quale indicava scientificità, trasparenza e proporzionalità delle misure alla base della coesistenza), ha bloccato ogni possibilità per gli agricoltori italiani con perdite stimate ogni anno, tra perdite del raccolto a mancati aumenti di centinaia di milioni di euro ogni anno. La legge 5/2005 imponeva che fino a quando non fossero stati emessi i piani di coesistenza (che attendiamo ancora oggi nel 2011!), la coltivazione di materiale transgenico era punibile “con l’arresto da uno a due anni o con l’ammenda da 5.000 a 50.000 euro”».

Buona parte della legge 5/2005 è stata poi abolita dalla Corte Costituzionale nel marzo 2006, ma poi il ministero aveva negato la possibilità di coltivare invocando la mancanza di piani di coesistenza nelle regioni. C’è poi stata una sentenza del Consiglio di Stato che ha affermato il diritto degli agricoltori a coltivare gli Ogm regolarmente autorizzati in Europa, e poi ancora il Tar, nel 2010, che dava torto al Ministero dell’Agricoltura e intimava il suddetto a inserire quattro varietà di mais Bt nel registro delle varietà coltivabili in Italia.

Tutto questo – conclude Morandini – è avvenuto mentre ogni anno importavamo (e continuiamo a farlo a tutt’oggi) 4 milioni di tonnellate di soia e derivati, in gran parte transgenici perché importati da Brasile e Argentina dove la soia transgenica è coltivata al 77% e al 99%, rispettivamente. Sono tutti dati accessibili sulla banca dati della Fao e riportati nel libretto stampato ogni anno dal Ministero dell’Agricoltura. «Senza la soia transgenica l’Italia non potrebbe fare neanche le produzioni Doc (Parmigiano reggiano, Grana padano e Prosciutto di Parma, tanto per intenderci). Nonostante questo, tutti i ministri dal 2000 a oggi (tranne Galan) hanno continuato a pretendere che l’Italia sia una nazione Ogm free che non ha alcun bisogno dei transgenici e che anzi questi rappresentano un pericolo per l’agricoltura italiana. Ci sarebbe da ridere, ma ormai non ci resta che piangere».

O meglio, non resta che prendere sul serio l’esortazione finale del documento sopra citato: «In conformità con le recenti scoperte scientifiche, vi è un imperativo morale ad estendere ai poveri e alle popolazioni vulnerabili che li desiderano i benefici di questa tecnologia su più vasta scala e secondo condizioni che permetteranno loro di aumentare il tenore di vita, migliorare la salute e proteggere l’ambiente».