La visione degli animali è un argomento che genera sempre  interesse, perché quasi tutti ci siamo chiesti “ma il mio cane vede il colore?” oppure  “di che coloro devo vestirmi per evitare che le api mi pungano?” e altre simili domande. Ma un articolo pubblicato sul numero di giugno 2011 del Journal of Experimental Biology non è solo curioso, ma apre la porta ad interessanti osservazioni scientifiche. I ricercatori, appartenenti a gruppi inglesi e norvegesi, hanno studiato il sistema visivo delle renne e hanno trovato che questi mammiferi sono in grado di vedere anche l’ultravioletto.



Bisogna ricordare, a questo proposito, che gli esseri umani sono in grado di vedere (cioè di trasformare le radiazioni elettromagnetiche in segnale cerebrale) le radiazioni comprese tra i 380 e i 780 nanometri (il nanometro corrisponde a un miliardesimo di metro). Le lunghezze d’onda tra i 100 e i 380 nanometri appartengono all’ultravioletto e non sono trasformate normalmente in segnale cerebrale dal nostro sistema visivo. Non deve stupire che le renne abbiano sviluppato questa capacità: si tratta di animali che vivono in un ambiente in cui, per una larga parte dell’anno, la luminosità è scarsa e la luce è molto “fredda”, cioè con una decisa dominante sulle corte lunghezze d’onda. Inoltre utilizzare la visione all’ultravioletto permette alle renne di distinguere tra vari tipi di vegetazione che appaiono identici nel visibile e le rende in grado di evidenziare meglio nella neve le tracce di urina, che possono corrispondere a un marcamento del territorio o alla presenza di predatori nelle vicinanze.



Le renne non sono gli unici animali in grado di percepire l’ultravioletto: le api hanno questa capacità, che rende per loro interessanti fiori come le margherite, che, se a noi appaiono abbastanza monocromatici, sono per questi insetti affascinanti e colorati variamente. Inoltre esse utilizzano questa capacità, insieme a quella di saper valutare la polarizzazione della luce, per potersi meglio orientare. Ma le renne sono probabilmente i primi animali di dimensioni rilevanti a dimostrare la capacità di percepire l’ultravioletto.

Infatti non si deve dimenticare che il fatto che si sia in grado di percepire una certa radiazione presuppone che quella radiazione arrivi sulla retina. Ma la radiazione ultravioletta ha un contenuto energetico assai elevato (il contenuto energetico della radiazione è inversamente proporzionale alla lunghezza d’onda, quindi una corta lunghezza d’onda indica un contenuto energetico alto): quando raggiunge la retina dei mammiferi essa porta rapidamente a un fotodanneggiamento. Negli uomini, ad esempio, questo viene evitato grazie al fatto che la cornea e il cristallino, due dei mezzi oculari che si trovano prima della retina, sono in grado di assorbire l’ultravioletto, bloccandolo.



Non si tratta di una cosa priva di conseguenze: l’assorbimento dell’ultravioletto da parte della cornea genera una fastidiosa irritazione, detta cheratite, ben nota a chi decide di sciare troppo a lungo senza un buon occhiale da Sole o a chi utilizzare un saldatore senza protezione, mentre l’assorbimento da parte del cristallino provoca l’ingiallimento del cristallino stesso, un fenomeno noto come cataratta. Per il nostro sistema visivo però questi problemi sono decisamente inferiori a quelli che si verificherebbero se l’ultravioletto arrivasse sulla retina: era quello che capitava fino ad alcuni anni fa quando, eliminando un cristallino ingiallito, non si metteva nulla al suo posto.

Le renne sarebbero quindi il primo animale di dimensioni rilevanti e dotato di una vita media abbastanza lunga (tutti fattori che rendono l’esposizione all’ultravioletto maggiormente pericolosa) in grado di vedere l’ultravioletto senza subirne danni. Parte ora la ricerca per capire in che modo le renne limitino questo problema: potrebbe essere una ricerca con una importante ricaduta pratica, in particolare se mostrasse una strategia per difendere anche l’uomo. Sono molti gli articoli che mostrano come l’esposizione all’ultravioletto sia negli uomini una importante causa di ipovisione nell’età avanzata, tramite una patologia detta degenerazione maculare legata all’età: sarebbe bello se dalle renne, fino ad oggi note alle nostre latitudini soprattutto per il trasporto di Babbo Natale, giungesse un suggerimento per la nostra salute.