Sulla base di una recente indagine di Coldiretti-Swg, tre italiani su quattro sarebbero contrari agli Ogm perché li ritengono meno salutari dei prodotti tradizionali. Peccato, però, che la gran parte di quei tre quarti non sappiano quello che voi, lettori di questo articolo, fra pochi minuti saprete.
L’acronimo Ogm dice molto, ma non abbastanza. Come molti ormai sanno, Ogm sta per “Organismi geneticamente modificati“ e si riferisce a quelle piante e animali che vengono modificati geneticamente utilizzando le biotecnologie moderne (quelle che usano le tecniche del DNA ricombinante). In pratica, gli Ogm sono creati inserendo uno o più geni provenienti da altri organismi e per questo sono detti anche “organismi transgenici”.
Messa così, la cosa incute un poco di timore, specialmente a coloro che non conoscono cosa sia il DNA e la genetica. Questa definizione suggerirebbe, infatti, che tutti gli altri organismi che vengono manipolati dall’uomo ultimamente non sarebbero manipolati nel loro DNA e quindi non presenterebbero modifiche nei loro geni (il DNA è la molecola di cui sono fatti i geni). Questo è purtroppo falso e cercherò di spiegarne i motivi con alcuni esempi.
Un primo esempio riguarda quelle piante o animali che, nel corso della loro evoluzione, hanno ricevuto del DNA da altri organismi e adesso lo mantengono nel proprio patrimonio genetico. Gli esempi più evidenti sono alcune specie di piante (ad esempio, una simile al tabacco) che possiedono geni di batteri inseriti nella pianta. Il DNA di questi batteri è inserito nella linea germinale ed è ormai indistinguibile dal DNA della pianta (siamo solo noi con la nostra intelligenza che ne possiamo riconoscere la provenienza) e viene quindi trasmesso di generazione in generazione.
Esempi simili di trasferimento di geni si conoscono anche tra altre specie (per esempio, insetti e batteri). Molto più spesso capita di incontrare piante, come la foglia di oleandro nella foto, con escrescenze disorganizzate, che vengono definite tumori, anche se condividono con i tumori umani solo poche caratteristiche.
Questi tumori, come le piante di tabacco sopra menzionate, sono a tutti gli effetti dei transgenici, anche se naturali: hanno infatti inserito nel loro DNA geni di specie distantissime. Già solo questa evidenza dovrebbe far riflettere tutti quelli che sostengono che gli Ogm sono innaturali (ovviamente questo dibattito affascinante, ma filosofico, dovrebbe prima chiarire cosa sia naturale e quindi arrischiare una definizione di natura).
Ma siamo solo all’inizio! Prendiamo ora, ad esempio, il triticale, una specie creata incrociando il frumento (triticum) con la segale. L’incrocio risulta, ahimé, sterile ed è stato eseguito per la prima volta nel 1874 (non è un errore: milleottocentosettantaquattro!) da un botanico scozzese. Quale motivo può spingere una persona a incrociare due varietà che “naturalmente” non si incrociano? Tanti motivi diversi, ma quello più comune e più sensato è la creazione di specie con caratteristiche migliori. Nel caso del triticale, la spinta fu probabilmente la considerazione che il frumento aveva un’ottima produttività, mentre la segale un’ottima resistenza alle malattie e al freddo (essa viene definita infatti una specie rustica).
Era possibile creare un ibrido che combinasse una buona produttività con una buona resistenza al freddo e alle malattie? Per rispondere non rimaneva che fare l’esperimento. Il risultato, come spesso capita, all’inizio non è stato esaltante, perché le caratteristiche della specie non erano ottimali (rispetto a quelle dei due genitori) e in più era sterile. Un caso analogo è il mulo (frutto dell’incrocio tra cavalla e asino), che ha buone caratteristiche di resistenza, ma è sterile.
I botanici e i genetisti agrari si sarebbero potuti fermare di fronte alla sterilità, ma utilizzando una serie di trucchetti ben noti agli specialisti, sono riusciti a raddoppiare totalmente il numero dei geni e a restituire la fertilità alla pianta. Nel 1936 sono state così create piante fertili di triticale che potevano essere propagate, incrociate ulteriormente e utilizzate in prove agronomiche per misurarne produttività e resistenza. Sono occorsi ancora quasi 40 anni di lavoro di incroci e selezione per ottenere piante che fossero agronomicamente interessanti, vale a dire piante che potessero essere coltivate con profitto. Oggi il triticale è coltivato su 4 milioni di ettari a livello mondiale (ricordo che la superficie coltivata italiana è circa 13 milioni di ettari) la maggior parte proprio in Europa ed è usato principalmente per l’alimentazione animale.
Una prima lezione da trarre è che senza la ricerca di quello che appare impossibile o innaturale oggi non avremmo un’infinità di prodotti utili e buoni (e certamente anche molti inutili e moralmente riprovevoli; ma la moralità è nell’uso che l’uomo ne fa, non nel prodotto) a cominciare da vaccini, macchine, computer, aerei e telefoni.
Altre considerazioni si potrebbero trarre da questi esempi; ma potranno essere oggetto di un successivo contributo.