Sono passati molti anni da quando Edwin Hubble propose nel 1936 il suo schema di classificazione delle galassie. Hubble è forse l’astronomo più noto al grande pubblico, protagonista di fondamentali scoperte: la legge di espansione dell’universo che porta il suo nome (anche se recentemente è stata messa in discussione la paternità della scoperta, che andrebbe attribuita a padre Lemaitre) e l’esistenza di altre galassie nell’universo come la Via Lattea. Per questi meriti Hubble ha ricevuto l’onore di vedersi intitolato il telescopio spaziale, le cui immagini, aldilà della fondamentale importanza scientifica, sono ormai entrate nell’immaginario collettivo.
Per tutti questi anni, ogni studente di astronomia ha imparato la classificazione delle galassie da lui proposta, dalla caratteristica forma ‘a diapason’. Essa pone sul manico della forcella le galassie ellittiche, con forma sempre più schiacciata, fino ad arrivare alla biforcazione oltre la quale trovano posto le galassie a spirale, di forma “a disco”, divise in due classi a seconda della presenza o meno delle barre.
Quella di Hubble è una classificazione basata sulla morfologia e in particolare sulle immagini del grande telescopio di Monte Wilson di 2,5 m di diametro, ai tempi il più grande al mondo. La classificazione ha resistito più o meno indenne attraverso tutti questi anni, anche se era già stata proposta una classificazione alternativa nel 1976 dall’astronomo olandese van den Bergh. Tuttavia essa non ebbe grande fortuna e non riuscì a scalzare quella dell’astronomo americano.
Recentemente, un gruppo di scienziati, di cui uno dei Principal Investigators è l’italiano Michele Cappellari dell’università di Oxford, riprendendo parzialmente anche il lavoro di van den Bergh, ha proposto una nuova classificazione. Gli scienziati hanno intrapreso un ambizioso progetto, chiamato ATLAS3D, che prevede l’analisi dettagliata di un campione di 260 galassie nella regione ‘vicina’ a noi (si fa per dire: entro 120 milioni anni luce!), oltre a un confronto con le previsioni delle attuali teorie di formazione delle galassie.
Il campione selezionato è composto da galassie chiamate early-type, una parola che è oramai retaggio storico di un’errata interpretazione dello stesso Hubble, che pensava si trattasse di oggetti giovani. Sono le galassie di forma sferoidale, poste sul manico del diapason di Hubble; sono quindi nettamente separate dalle galassie a spirale. È noto che le early-type sono povere di gas, contrariamente a quelle a spirale; inoltre finora si era convinti che le galassie early-type fossero dei ‘rotatori lenti’, diversamente dalle spirali che ruotano velocemente.
Uno dei punti cruciali della classificazione di Hubble è che, come detto, si basa sull’analisi delle immagini. Grazie ai telescopi moderni, oggi possiamo non solo limitarci all’analisi delle immagini ma anche sfruttare le informazioni che derivano dalla cosiddetta integral-field spectroscopy. Essa consiste nel misurare con elevata precisione la velocità della galassia, rilevando uno spostamento verso il rosso (se si sta allontanando da noi) o verso il blu (se si sta avvicinando) della luce emessa dalle stelle della galassia. Oggi è possibile suddividere in piccole zone ogni galassia ed effettuare questa misura per ognuna di queste zone, ed avere quindi indicazioni su come si muovono le stelle all’interno della galassia.
Analizzando i dati, raccolti dallo strumento SAURON, i ricercatori si sono accorti che solo un terzo del campione di galassie early-type è davvero un rotatore lento, mentre i restanti due terzi sono rotatori veloci. Di qua l’idea che le prime siano davvero galassie con forma sferoidale, mentre le seconde galassie di forma a disco, ma senza spirale (‘nude’, come le ha definite Cappellari), che siccome vediamo di faccia ci appaiono, una volta proiettate sul cielo, indistinguibili dalle prime se ci limitiamo all’analisi delle sole immagini.
Se i ricercatori hanno ragione, la forcella di Hubble potrebbe essere sostituita da un “pettine”, con un manico costituito da galassie non a spirale in ordine di velocità di rotazione – dalle più lente alle più veloci – e dei “denti” (le galassie a spirale) collegati al manico attraverso le loro cugine “nude” a rapida rotazione.
Per poter soppiantare una classificazione che ha resistito così tanto nel tempo, è necessario tuttavia avere una mole di dati in grado di giustificarlo. Per questo Cappellari e il resto del team, composto da una trentina di scienziati, hanno in progetto di ripetere l’analisi su un campione circa 100 volte più grande di quello attuale.