Tempo fa avevamo intervistato Elisabetta Erba, docente di Geologia presso il Dipartimento di Scienze della Terra “Ardito Desio”dell’Università degli Studi di Milano, che aveva appena firmato, all’interno di una collaborazione internazionale, un articolo sulla rivista Science con importanti risultati relativi alla storia degli ecosistemi oceanici. Siamo tornati da lei per approfondire le modalità e il senso del suo lavoro di ricerca.
Può riassumere brevemente i contenuti e gli obiettivi delle ricerche che sono state poi riportate nell’articolo di Science?
Io mi occupo di nannofossili (ha capito bene, non nanofossili) ovvero di resti di alghe unicellulari che presentano un “guscio” di calcite intorno alla superficie della cellula. Queste alghe, dette coccolitoforidi, nonostante siano grandi alcuni micron sono considerate i produttori di calcite più efficienti al mondo, perché quando muoiono esse precipitano sui fondali marini e questa “pioggia” imperterrita e continua nell’arco di milioni di anni va a formare la maggior parte del sedimento. I nannofossili sono utili per datare le rocce e per fare ricostruzioni paleo-oceanografiche. Studio questi fossili da quando sono laureanda, ma il bello della ricerca è proprio questo: conoscere sempre di più e sempre meglio l’oggetto della nostra ricerca. Nuovi metodi di indagine e nuove scoperte permettono di studiare l’oggetto sempre più approfonditamente, trovando nuove implicazioni e applicazioni. Per me la ricerca consiste proprio nel seguire questa curiosità.
Quali sono stati i momenti di maggiore soddisfazione in tutti questi anni di lavoro?
Le prime soddisfazioni le ho avute dalla datazione delle rocce: trovo molto affascinante l’idea di poter dare un’età alle rocce studiando dei fossili così piccoli. Da laureanda dovevo datare delle rocce che a me sembravano le più noiose al mondo: calcari bianchi senza nessuna variazione di colore, sempre uguali a se stessi. Mi ricordo come fosse ieri il giorno in cui ho visto per la prima volta il mio campione al microscopio elettronico: questa roccia era fatta al 100% da nannofossili! Lì mi sono detta: “Ma pensa, queste rocce così banali. Chissà quante migliaia di persone ci sono passate e ci passano di fianco e non possono neanche lontanamente immaginare che sono state costruite da un accumulo di piccolissimi organismi!”. Quella è stata una folgorazione: ho scoperto in quelle rocce un fascino che mai avrei pensato potessero avere.
Da molte parti si sente dire che questo è un momento di recessione per il nostro Paese. Vede dei segni di questo in università?
In università il problema è riuscire a fare ricerca, perché la ricerca costa e i finanziamenti continuano a diminuire. L’errore più grave è soprattutto quello di penalizzare la ricerca di base perché la ricerca applicata si fonda su quella di base e quindi senza questa non si farà più niente.
Un rapporto del Censis parlava di una crisi originata da una mancanza di desiderio di costruire e crescere. È d’accordo con questo giudizio?
Non penso che all’origine di tutta la crisi mondiale ci sia un calo del desiderio, però quello che percepisco, anche al di fuori dell’università, è che il mondo di adesso è molto diverso da quello in cui sono stata educata e sono cresciuta. Oggi ci sono infinite sollecitazioni, paradossalmente avete molte più possibilità, ma sembra non ci sia nulla che interessi veramente. Io credo che tanto dipenda da un’educazione che aiuti a seguire con determinazione le proprie passioni.
E in università?
Durante le escursioni con gli studenti del terzo anno mi capita di chiedere a qualcuno: “Ma tu che cosa vuoi fare? Hai già pensato a una tesi?”. Spessissimo mi rispondono: “No, non so”. Oppure altri diventano rossi fino alla punta dei capelli, perché magari gli piacciono i dinosauri e quasi si sentono in colpa a dire che sono appassionati di dinosauri perché pensano che fare il geologo voglia dire per forza andare a studiare le caratteristiche geomeccaniche di suoli e rocce per l’ingegneria civile. Certo che se non seguono loro stessi le proprie passioni e curiosità!
Lei come si muove, in quanto professoressa, rispetto a questa mancanza di educazione?
Io ho avuto la fortuna di incontrare e vedere lavorare persone che per me sono tuttora esempi positivi e cerco di fare lo stesso. Alle persone che si laureano con me cerco di insegnare un approccio scientifico alle scienze della terra che permetta loro di andare a fare di tutto: non voglio che siano destinati a studiare per la vita i nannofossili, non sono i “miei” dottorandi! Credo che uno degli scopi dell’università sia quello di tirar fuori i talenti degli studenti e le loro capacità perché la mente fertile è la loro e magari da cose che noi studiamo da dieci anni loro possono prendere lo spunto per fare un altro tipo di applicazione. A loro quindi dico: coraggio e seguite le vostre passioni!
(a cura di Alessandro Acerbi)