Per un po’ gli ingegneri e tecnici della Nasa che lavoravano al programma Shuttle saranno ancora occupati: ci sono le delicate attività di smantellamento delle specifiche rampe di lancio del Kennedy Space Center di Cape Canaveral, con le relative attrezzature di servizio e di controllo. E poi c’è da organizzare a dovere il trasferimento della già pensionata navetta Discovery allo Smithsonian Institution Museum di Washington, dove diventerà una delle principali attrazioni per turisti e studenti e farà sognare tanti giovani aspiranti astronauti.



Dopo, però, lo spettro della disoccupazione diventerà realtà. Oggi, infatti, col lancio (meteo permettendo, non è escluso un rinvio per pioggia) dell’ultimo degli shuttle, l’Atlantis, si chiude un’era iniziata circa trent’anni fa e densa di esperienze, successi, suspence e anche tragici eventi. Il bilancio del programma Shuttle vede nella colonna “lanci effettuati” il numero 135; ma registra anche una colonna “deceduti” con un terribile numero 14: quello degli astronauti morti nei due disastri del Columbia e del Challenger.



È un bilancio che annovera anche risultati pregevoli: come la riparazione in orbita del prezioso specchio del telescopio spaziale Hubble, che ci ha regalato le più spettacolari immagini cosmiche; e i rifornimenti della Stazione Spaziale Internazionale (ISS), col suo arredamento di strumenti ed esperimenti di bioingegneria e scienza dei materiali.

Ora però tutto questo è storia passata. Da domani non ci saranno più Shuttle targati Usa per il trasporto di astronauti e di apparecchiature scientifiche. Con la prima conseguenza che la Nasa, per tornare a casa sulla ISS, dovrà chiedere “un passaggio” ai russi e, prossimamente, ai cinesi e agli indiani. La russa Soyuz è già stata prenotata per i dieci voli programmati entro il 2013. Ma si tratta solo dei voli con personale a bordo; per il trasporto in orbita di carichi pesanti la navetta russa non è adeguata e bisognerà pensare ad altro.



Ecco allora la nuova via della Nasa: quella che passa dai privati. La navigazione spaziale sta per diventare un settore dell’economia, del commercio e servizi e sono già nate società molto agguerrite e tecnicamente preparate. Per i voli con astronauti sono quattro le aziende alle quali la Nasa passerà il testimone per portare in orbita nuovi equipaggi entro il 2015: sono la californiana SpaceX, la Boeing con la sua sede texana, la Blue Origin di Kent (Washington) e la Sierra Nevada (Colorado). La stessa SpaceX ha già in lista d’attesa dodici voli cargo americani che non possono andare sulla Soyuz e anche la società Orbital Sciences (Virginia) ne ha appaltati otto.

Mentre il mercato si anima e i vari attori cercano di ritagliarsi le posizioni più vantaggiose e competitive, si infittisce il dibattito sul futuro della Nasa. Un dibattito che è al tempo stesso scientifico ed economico e coinvolge pesantemente anche gli abitanti di quella ampia zona che circonda il centro Kennedy, spesso identificata come la Space Coast. Pare che in tutta l’area siano circa 8.000 i posti di lavoro che andranno persi sia nelle attività spaziali dirette che nell’indotto.

Ma la speranza non è chiusa; è solo rinviata. Nell’ottobre scorso il Congresso ha varato un Authorization Act per la Nasa che assegna all’agenzia il compito di sviluppare un vettore e un veicolo appositi per missioni umane a lungo raggio: si torna a parlare della Luna, come possibile meta e si fa insistente l’ipotesi di dare la caccia a qualcuno degli asteroidi più vicini a noi, cercando di trovare, sulle loro accidentate superfici, punti di approdo “morbidi”.

L’idea di restare “a Terra” non va proprio giù agli avventurosi yankee.