Il problema delle batterie diventa sempre più decisivo per lo sviluppo delle nuove tecnologie dominate ormai dal paradigma del “piccolo e wireless”. Dai numerosi apparecchi per informatica e telecomunicazioni ai più comuni elettrodomestici, abbiamo a che fare con oggetti miniaturizzati e disponibili in versione senza fili: evidente quindi la necessità di sistemi di alimentazione elettrica, alias batterie, in grado di adattarsi alle ridotte dimensioni dei dispositivi e di garantire la tranquillità di un servizio ininterrotto per un buon numero di ore.



Ma con le batterie oggi disponibili ancora non ci siamo. Certo, la situazione è molto migliorata rispetto a qualche anno fa, ma le nostre esigenze di autonomia e autosufficienza energetica sono insaziabili e tutti auspichiamo una situazione ideale in cui dell’alimentazione elettrica proprio non dovremo più preoccuparci.



Le candidate ufficiali ad esaudire questi desideri sono ovviamente le nanotecnologie; e i progressi non mancano. Come quelli ottenuti da un gruppo di ricercatori della Rice University, guidati da Sanketh Gowda, e descritti nell’articolo “Building Energy Storage Device on a Single Nanowire” pubblicato sulla rivista Nano Letters della ACS (American Chemical Society).

Dopo parecchi tentativi, e un preannuncio nello scorso dicembre, ora i nanoelettrochimici della Rice sono riusciti realizzare un prototipo sperimentali di una batteria agli ioni di litio delle dimensioni di un nanofilo: si tratta di componenti alti 50 micron, circa il diametro di un capello umano e quasi invisibili se visti di taglio. Il loro comportamento elettrochimico viene influenzato dalla particolare configurazione, che vede i dispositivi di accumulo inseriti in nanofili ultrasottili con gli elettrodi separati da intervalli nanometrici. Vengono quindi considerati come dispositivi ibridi di accumulo elettrochimico che combinano i vantaggi delle batterie e dei supercondensatori, dando luogo a sistemi di alta energia e densità di potenza.



I recenti miglioramenti nelle tecniche di produzione hanno consentito di inserire catodo e anodo all’interno dello stesso nanofilo, dove sono affogati in una matrice di ossido di polietilene che funge sia da gel elettrolitico in cui sono immagazzinati ioni litio, sia da isolante fra i vari nanofili. Più precisamente, il dispositivo elettrochimico composito prevede una nanostruttura con i nanocavi che fungono da anodo (Ni-Sn, nickel e stagno) e catodo (polianilina, PANI) confezionati all’interno di un polimero separatore. Utilizzando LiPF6 (Esafluorofosfato di litio) come elettrolita, il sistema elettrochimico agisce secondo un meccanismo ibrido basato sull’intercalazione (cioè l’inserimento alternato) del litio all’anodo e sul drogaggio di PF6  al catodo.

I dispositivi di accumulo di energia così realizzati possono essere assemblati in schiere (array) e collegati in modo perfettamente scalabile. Le prime sperimentazioni hanno mostrato capacità di circa 3 µAh/cm2 a un tasso corrente di 0,03 mA/cm2. Il risultato è soddisfacente, ma i ricercatori stanno cercando di mettere a punto nuovi materiali che consentano di aumentarne la capacità di carica e scarica, che attualmente diminuisce dopo una ventina di cicli. Lo stesso Gowda ha dichiarato che «C’è molto da fare per ottimizzare i dispositivi in termini di prestazioni. L’ottimizzazione del separatore polimerico e il suo spessore e l’esplorazione di diversi sistemi di elettrodi potrebbe portare a notevoli miglioramenti».

In settori come questo più che mai la tecnologia rivela la sua aspirazione (o pretesa?) a sfidare i limiti; e ciò la costringe ad essere perennemente nella fase di work in progress.

 

(Michele Orioli)