Padre Roberto Busa ci ha lasciati a pochi giorni dal Meeting di Rimini, quel Meeting che l’aveva visto presente per diversi anni a partire dal 1998: dapprima come poliedrico relatore (il suo primo intervento aveva il significativo titolo: “Tecnologie, ruscelli di sapienza. Ossia, il coraggio della certezza”); poi come visitatore attento e curioso, con lo sguardo aperto di chi non smette di imparare e con la semplicità stupita tipica del bambino e insieme del sapiente.



Ogni incontro, ogni mostra, era un’occasione per quell’esperienza che non aveva remore a definire di “meditazione”: e dopo qualche minuto di osservazione, di ascolto e di riflessione ecco arrivare la domanda arguta, la notazione penetrate, la puntualizzazione profonda.

Forse quella della profondità, tra le tante caratteristiche con cui lo possiamo ricordare, è quella che più colpiva in lui: una profondità che pescava in uno sconfinato patrimonio di conoscenze linguistiche, scientifiche, filosofiche, teologiche; ma che, soprattutto, attingeva alla fonte di una fede limpida e robusta, vissuta come esperienza gioiosa e libera, che spalanca alla realtà in tutte le sue dimensioni e abilita a un’esplorazione senza confini.



Di territori (conoscitivi, ma anche geografici, nei numerosi viaggi) ne ha esplorati parecchi, ma a partire dal continente al quale ha dedicato la maggior parte del suo instancabile lavoro e che gli era più caro: quello della parola. E perciò quello dell’uomo che, solo tra i viventi, l’ha ricevuta in dono e che condensa nelle espressioni verbali la drammaticità della sua esistenza e il suo inesauribile bisogno di felicità.

Padre Busa vedeva nel linguaggio il manifestarsi di alcune certezze primigenie che stanno alla radice di ogni espressione umana e che vengono prima di qualsiasi parola e gesto. Ogni conoscenza, ogni autentico progresso, non può germogliare e fiorire se non sotto la spinta di quelle forze interiori costitutive dello spirito umano che egli chiamava “ontologia generativa”; è da qui che prende alimento ogni attività umana, compresa la scrittura del software, la programmazione dei robot, la gestione delle grandi reti di telecomunicazione.



Linguistica sarebbe la disciplina nella quale collocare la sua opera, ma è evidente che la definizione accademica è troppo stretta per identificare il gigantesco studio che l’ha portato a fondare l’informatica linguistica. Uno studio iniziato in sordina nel 1941, presso la Pontificia Università Gregoriana, con la paziente analisi del termine “in”, preposizione e prefisso, in alcuni testi di san Tommaso per i quali compila a mano (non esistevano ancora i PC) un totale di 10.000 schede.

L’informatica, però, è prossima al debutto e padre Busa vi entra da una delle porte principali, trovandosi proiettato, nel 1949, in uno dei templi della nascente tecnologia: è a New York, dove riesce a convincere l’IBM a sostenere il suo progetto di analisi computerizzata integrale del lessico di san Tommaso.

Una proposta originale, dato che lo sviluppo del computer sembrava indirizzato esclusivamente al calcolo numerico ed erano impensabili applicazioni ad altri campi del sapere. Parte così la monumentale opera che porterà all’Index Thomisticus e che farà di padre Busa il pioniere del Digital Humanities (impiego di macchine per studi umanistici). Tra 1949 e il 1980, alla guida di equipe di ricercatori entusiasti dislocati tra l’Aloisianum di Gallarate (centro dell’operazione), Milano, Pisa, Venezia e Boulder (Colorado), padre Busa esamina puntualmente undici milioni di parole latine e altrettante in 22 altre lingue e 8 alfabeti, per arrivare alla fotocomposizione computerizzata e alla pubblicazione dei 56 volumi dell’Index: 39 volumi di concordanze, 10 di indici con 86 tavole di diverse classificazioni lessicali.

Nel frattempo, il panorama dell’informatica si sta trasformando: cresce la potenza di elaborazione dei computer, il dialogo uomo-macchina diventa più familiare e si aprono gli insospettati scenari applicativi della multimedialità. Padre Busa è sempre in prima fila e porta con sé nei nuovi spazi dell’informatica “il suo san Tommaso”: l’Index va su CD Rom e diventa un archivio elettronico da 1,6 Gigabyte sul quale ogni frase dell’opera dell’Aquinate può essere analizzata a livello grafico, morfologico, sintattico e lessicale.

Intanto altre imprese si preparano al decollo. Come il Lessico Tomistico Biculturale (LTB), progettato fin dal 1973 e sempre sostenuto dall’associazione CAEL, appositamente costituita “per la computerizzazione delle analisi ermeneutiche e lessicologiche”. Col progetto LTB intendeva tradurre le voci di san Tommaso, quale espressione e sintesi dei primi 40 secoli della cultura mediterranea, nelle voci corrispondenti di varie lingue del nostro tempo. Un’impresa ardua, ma non impossibile, che si colloca nel più generale filone della cosiddetta traduzione automatica: un obiettivo che ha mobilitato, finora con esiti deludenti, università, grandi imprese e governi e che diventa di stringente attualità con la diffusione capillare di Internet.

Non è stato difficile per padre Busa sintonizzarsi su queste frequenze; al punto da raccogliere e rilanciare un’altra e più impegnativa sfida, denominata delle “Lingue Disciplinate” (LD), basata sulla microanalisi linguistica sperimentata nell’Index e progettata per LTB. L’idea è di andare alle radici di ogni lingua per realizzarne la fusione in un unico sistema lessicologico di lingue intercambiabili: una sorta di rovesciamento della torre di Babele, nella convinzione che “la babele linguistica sta nei segni dell’espressione, non nei pensieri o concetti” i quali poggiano su un’unica “logica di fondo, luce di ogni uomo”.

Per chi, ci auguriamo, potrà continuare la sua opera, il riferimento a questo cuore unitario dell’uomo resterà la stella polare della ricerca. Per chi come noi ha avuto la gioia della sua amicizia, resta il ricordo di chi ha saputo non solo superare il presunto contrasto tra scienza tecnica e cristianesimo, ma di trasfigurarlo in una positiva interazione a partire dalla propria esperienza quotidiana: padre Busa amava affermare che gli capitò di essere il pioniere dell’informatica testuale non benché ma perché sacerdote gesuita, interessato a tutto l’uomo e perennemente pronto a lanciarsi nella ricerca più esaltante e vertiginosa: quella dei “disegni nascosti nel Mistero”.