L’avvento della meccanica quantistica nei primi decenni del ‘900 ha modificato radicalmente la fisica, aprendo la porta a nuovi fenomeni prima impensati. Se all’inizio fu difficile accettare questa nuova teoria, oggi l’evidenza sperimentale ci mostra che essa è l’unica adeguata per descrivere il mondo dell’estremamente piccolo, dove la meccanica classica non è più applicabile. Tuttavia, rimangono ancora campi in cui non abbiamo ancora terminato di esplorare tutte le conseguenze della meccanica quantistica.
È ben noto ad esempio che per generare una corrente è necessario applicare una differenza di potenziale, che muove gli elettroni all’interno di un materiale conduttore. Anche se non possiamo vederlo, è quello che facciamo tutte le volte che attacchiamo una spina, o inseriamo una batteria in un dispositivo. Tuttavia, la meccanica quantistica prevede che, sulle scale nanometriche, sia possibile generare una corrente anche senza applicare una differenza di potenziale dall’esterno, facendo variare nel tempo alcune opportune grandezze quantistiche. Questo meccanismo viene chiamato “pompaggio quantistico” ed è stato previsto per la prima volta nel 1983. Tuttavia mancava fino ad adesso una conferma sperimentale della sua esistenza.
Il precedente tentativo datava al 1999, in cui si constatò la difficoltà di modulare nel tempo le grandezze quantistiche nella maniera necessaria a provocare il fenomeno. Ora un nuovo studio, diretto da Francesco Giazotto del laboratorio Nest di Nano-Cnr e Scuola Normale Superiore di Pisa, ha permesso di osservare l’effetto.
Nell’esperimento, i cui esiti sono stati pubblicati di recente da Nature Physics, Giazotto e colleghi hanno avuto l’intuizione di utilizzare un dispositivo chiamato Superconducting Quantum Interference Device (SQUID). Tale dispositivo è costituito da due giunzioni di Josephson, ovvero strati di materiale superconduttivo (Vanadio in questo caso), separati da un sottilissimo strato di isolante (spesso in questo caso circa 50 nanometri). A causa di un effetto detto appunto Josephson, è possibile un passaggio di corrente superconduttiva da uno dei due strati all’altro attraverso l’isolante.
Poiché questo fenomeno dipende dal campo magnetico in cui si trova immerso l’oggetto, gli SQUID vengono comunemente usati nella ricerca biologica e ingegneristica per misurare i campi magnetici, e si tratta di uno degli strumenti più sensibili per la misura dei campi magnetici ad oggi disponibile. Gli SQUID vengono ad esempio utilizzati per la magnetoencefalografia e per la risonanza magnetica nucleare.
In questo caso, nello SQUID è stato incluso un nanofilo di arseniuro di indio. Grazie all’effetto Josephson, che funge da meccanismo di pompaggio quantistico, senza applicare alcun potenziale esterno nel nanofilo scorre una corrente, minuscola ma misurabile, dell’ordine di qualche picoAmpere, ovvero di un milionesimo di un milionesimo di Ampere (per confronto, la corrente massima che può sostenere un impianto elettrico casalingo è di 16 Ampere). L’esperimento mostra che questa corrente esibisce delle simmetrie rispetto al campo magnetico, che sono come la “firma”, prevista dalla teoria, di un meccanismo di pompaggio quantistico; altri effetti sperimentali spuri non esibirebbero un tale comportamento simmetrico. Si può quindi affermare che tutte le caratteristiche osservate della piccolissima corrente sono in accordo con quanto previsto.
In futuro, Gianozzo prevede di poter effettuare lo stesso esperimento utilizzando altri materiali conduttivi per il nanofilo, come nano tubi di carbonio o il grafene, al momento di grande interesse per la ricerca e la tecnologia.