Fa un certo effetto visitare la mostra “Atomo indivisibile: domande e certezze nella scienza”, in compagnia di Lucio Rossi, in vista dell’incontro di presentazione di questa mattina. Rossi è uno degli oltre seicento fisici italiani che lavorano al Cern di Ginevra presso il superacceleratore di particelle LHC (Large Hadron Collider) e la mostra presenta l’ultima delle quattro sezioni dove si respira pienamente l’aria del Cern: ci sono parti di apparecchiature, come un settore di calorimetro elettromagnetico dell’esperimento ATLAS, componenti di camere dello spettrometro per i muoni sempre di ATLAS, esempi “artistici” di cavi superconduttori, un modello in scala del rivelatore ATLAS, video dei tunnel e delle sale dove si esaminano i dati delle collisioni ad alta energia. E all’uscita, come segno di buon auspicio per le future scoperte, un modello che rappresenta una copia esatta dell’estremità di un magnete dipolo superconduttore di LHC.
Rossi si sente a casa e in effetti, dicono gli scienziati e gli studenti dell’Associazione Euresis che hanno curato – come ormai da molti anni al Meeting – l’esposizione, la sua collaborazione è stata preziosa per poter ottenere e spiegare correttamente tutti quegli oggetti. Così come è stata preziosa quella di Chiara Meroni, che opera nelle prime file proprio della collaborazione ATLAS.
Rossi però non vuole portare subito il discorso sul Cern e accetta la sfida della mostra che invita a scavare più a fondo nell’interrogativo del titolo e più ancora del sottotitolo. Dunque, sono più le domande o le certezze? «Sono entrambe inesauribili. È evidente che le domande non finiscono mai, nella fisica come nella vita. Ogni volta che abbiamo dato una risposta, che abbiamo acquisito una certezza, per esempio come è fatto l’atomo, con un nucleo e l’elettrone attorno, ecco che subito ancora più domande si sono affacciate: come fa l’elettrone a non cadere sul nucleo? (e per rispondere ci vorrà la meccanica ondulatoria, con la quantizzazione del momento angolare e dell’onda associata all’elettrone); oppure come fa il nucleo a stare insieme se è formato da cariche positive? (e di lì nasce l’idea delle forze nucleari di scambio che alla lunga porteranno alla quanto-cromodinamica, cioè ai quark…)».
Ma la cosa bella, aggiunge Rossi, è che «la domanda è come un’apertura che si appoggia su quello che già sappiamo, cioè sulle certezze, per arricchirle, per capirle di più, perché non ci basta: non ci basta mai. Ecco direi che il valore della domanda sta nell’essere segno che quello che conosciamo non ci basta, ma è segno di un oltre. La continua ricerca di nuove particelle, nuove dimensioni, nuovi livelli della struttura intima della materia e delle interazioni (forze) sta dimostrare la fame di certezza che abbiamo. Eppure sappiamo molto, molto di più dei giganti come Rutherford che ci hanno preceduto: e lo sappiamo con certezza che i nuclei stanno insieme perché i protoni non sono soli ma si accompagnano con i neutroni. Sappiamo persino sostituire un elettrone di un atomo di elio con un antiprotone…». Qui Rossi fa riferimento a un recente comunicato del Cern sull’esperimento ASACUSA, dove la sostituzione indicata ha lo scopo di misurare quanto l’antimateria e la materia sono uguali.
«Ecco, la fisica e la scienza in generale è un esempio significativo di come la certezza di una conoscenza solida, sperimentata, generi nuove domande che portano la conoscenza a un livello superiore di certezza: ma il nuovo livello ha già dentro la vocazione a essere superato (non cancellato). Direi quindi che valgono tutte e due: la domanda e la certezza sono come le gambe che, se correttamente dirette, ci portano verso la verità».
Se scorriamo i passaggi della mostra troviamo non solo tante domande, ma le stesse domande che si ripropongono a diversi livelli e che si riformulano. Così l’indivisibilità è crollata, per quanto riguarda l’atomo, esattamente cento anni fa con l’esperimento di Rutherford; ma è stata presto rilanciata dallo stesso fisico neozelandese in riferimento al nucleo e poi ancora alle particelle che compongono il nucleo.
Certo, tra l’esperimento del team di Rutherford nel piccolo laboratorio di Manchester (un maestro, due allievi e un tecnico), riprodotto con varie simulazioni della seconda stanza, e quelli che avvengono nel tunnel di 27 km a 100 metri sotto il confine franco-svizzero, ci sono grandi differenze. Rossi indica solo qualche numero: oltre 2.000 magneti superconduttivi mantenuti a una temperatura di -271 °C; 38.000 tonnellate, anche se per una macchina di quelle dimensioni non è molto; circa un miliardo di collisioni tra protoni al secondo. I filmati proiettati e le gigantografie presentate lungo il percorso espositivo danno già un prima idea della portata di questa impresa, simbolo della big science.
Ma ci sono importanti e stimolanti elementi di continuità e analogia tra la vicenda di Rutherford del 1911 e le ricerche attuali al Cern. «Certo: il superacceleratore LHC è come un gigantesco esperimento di Rutherford: facciamo delle collisioni che sono migliaia di miliardi di volte più potenti di quelle che fece Rutherford. I rivelatori avvolgono completamente le collisioni e scattano 20 milioni di foto digitali al secondo, continuando senza sosta a prendere dati. Alla caccia del fantomatico bosone di Higgs, importante quanto il nucleo atomico, e le altre particelle, rivelatrici, si spera, del nuovo livello che potrebbe spiegare tante cose a cominciare dalla materia oscura che apparentemente domina la meccanica delle galassie».
C’è ancora un aspetto che rende particolare la visita guidata fatta in compagnia di Rossi. Mentre noi seguivamo il percorso, progettato a forma (allusivamente) atomica, nei grandi anelli dell’acceleratore i protoni stavano correndo a velocità prossime a quella della luce per poi andare a collidere nelle sale dei quattro esperimenti. Da queste collisioni dipendono molte risposte alle domande e anche molte certezze potrebbero essere superate, altre potrebbero consolidarsi e diventare dei “punti di non ritorno”, confermando la certezza di base degli scienziati come Rossi, convinti che la realtà naturale è sottile ma all fondo semplice e ordinata. E le novità e le sorprese potrebbero venire ogni momento…
In queste settimane il tam tam del web ha insistito sulla possibilità che la fantomatica particella di Higgs (che alcuni si ostinano a chiamare particella di Dio) dia segni della sua presenza. Così il nostro accompagnatore non ha potuto spegnere il cellulare: uno squillo da Ginevra potrebbe essere quello decisivo …
(a cura di Mario Gargantini)