Parlare di libertà dei geni, come hanno fatto ieri al Meeting Carlo Croce, Pier Giuseppe Pelicci e Marco Pierotti poteva sembrare un po’ stravagante. Ma si è capito subito che dietro quel titolo c’era uno spessore di esperienza e di profondità che andava ben oltre il dibattito sulle specifiche ricerche e sulle stesse prospettive della biomedicina. Impressione che si è accentuata ascoltando l’intervento video trasmesso di Mauro Ferrari da Houston che ha raccontato come la partecipazione al Meeting nel 2010 abbia costituito una vera svolta nella sua vita.
Più e prima ancora della libertà dei geni, quella che è venuta a galla è la libertà dai pregiudizi di scienziati che decidono di aderire alla realtà e non agli schemi o ai canoni (qualcuno li chiama dogmi) che dominano il mondo della ricerca e spesso fanno da freno alla effettiva possibilità di scoprire qualcosa di nuovo.
Lo ha raccontato a Ilsussidiario.net con semplicità e sincerità lo stesso Croce, Direttore del Dipartimento di Virologia Molecolare, Immunologia e Genetica Umana presso l’Ohio State University e del Comprehensive Cancer Center, Ohio State University. Croce oggi è una delle riconosciute personalità nel mondo della genetica, dopo aver collezionato una serie di risultati di primo piano sulle frontiere più avanzate delle bioscienze: a cominciare dalla scoperta del ruolo dei geni microRNA.
Ci può riassumere la storia di questa scoperta?
È una storia emblematica di come spesso noi scienziati ci lasciamo bloccare da visioni preconcette che rallentano la ricerca. Nel mio caso devo dire che i geni microRNA erano stati scoperti in organismi come i vermi nel 1993; però nessuno li aveva presi in considerazione. Finché diversi anni dopo si è visto che geni omologhi a questi esistono anche nel genoma umano e il nostro gruppo ha potuto evidenziare che alterazioni dei microRNA erano presenti in tutti i cromosomi. Il pregiudizio era quello di non ritenere possibile la loro presenza rilevante nei cromosomi umani: ma se non l’avessimo avuto, avremmo fatto quella scoperta molto prima.
La scoperta riguarda la possibilità che i microRNA abbiano una responsabilità precisa nell’insorgere delle neoplasie …
Sì, e anche in questo si vede molto bene il ruolo negativo del pregiudizio. Stavamo cercando di vedere se c’era un gene coinvolto nella leucemia linfoide cronica: siamo riusciti a restringere l’area di interesse e l’abbiamo esplorata per sei – sette anni per vedere se c’erano geni alterati. Non abbiamo però trovato nessun gene interessante. Allora abbiamo mappato più precisamente le zone dove avrebbe dovuto esserci un gene responsabile: ma ancora senza successo. Il fatto è che cercavamo solo geni codificanti per una proteina, che peraltro sono una piccola frazione del genoma, non immaginando che potessero essere implicati anche i geni non codificanti, considerati allora a livello di “spazzatura”. Poi c’è stata la scoperta dei microRNA e tra questi abbiamo trovato ciò che cercavamo: La malattia era causata non dai soliti geni che ci aspettavamo ma da una nuova famiglia di geni: solo che noi non cercavamo lì la causa.
Quali sono state le conseguenze della scoperta?
Una volta eliminato il pregiudizio e aperto un varco nella direzione giusta, abbiamo ampliato il campo delle scoperte e abbiamo potuto dimostrare che la componente microRNA è alterata in tutti i tumori umani. Quindi possiamo iniziare a fare della diagnostica e prognostica tumorale semplicemente guardando i microRNA. Con un ulteriore vantaggio …
Quale?
Poiché i microRNA si possono inserire nel corpo, li possiamo usare come marcatori. Se vengono persi li possiamo reinserire, se vengono sovraesposti possiamo fare degli anti-microRNA che evitano la degradazione dei microRNA. Perciò, a mio avviso, in futuro potranno essere loro i bio marker dei tumori e consentiranno di rintracciare il tumore molto presto, quando non è ancora ben visibile e non è troppo maligno e un intervento può ancora essere risolutivo.
Ma c’è ancora qualcosa da scoprire nel DNA spazzatura?
I geni codificanti nel genoma umano sono appena il 2% e il resto era ritenuto spazzatura: ora però sappiamo che più del 50% del genoma umano è trascritto e lo è in modo diverso in cellule diverse; quindi più del 50% del genoma è importante, solo che non sappiamo ancora come agiscono questi che chiamiamo long non coding RNA. Per ora abbiamo scoperto la funzione dei microRNA ma ci sono ancora setto o otto famiglie di geni di questo tipo che attendono di essere conosciuti nella loro funzionalità. Stiamo solo intravvedendo delle possibilità.
Queste esperienze come hanno influito sul suo modo di fare scienza?
Io sono sempre stato molto aperto alle novità ma devo ammettere che quando ho scoperto il gene BCL3 prima della scoperta del micro RNA avrei potuto accorgermi della novità; invece, avendo visto che non codificava proteine, ho lasciato perdere e non mi sono reso conto della scoperta che avevo tra le mani. L’insegnamento importante che ne traggo è che bisogna seguire quello che i dati ci dicono, la realtà che appare nei nostri laboratori, non le nostre idee, i nostri dogmi.
Nel suo campo si raggiunge un alto livello di specializzazione, ma non si rischia di perdere di vista la malattia e l’ammalato?
Sono convinto che la nostra tensione debba essere rivolta alla cura del malato e che i nostri sforzi debbano concentrarsi sulla malattia non sulle nostre tecniche pur sofisticate. Se l’obiettivo è conoscere sempre più in profondità il nostro organismo e curarlo il più possibile, allora dobbiamo usare tutti gli strumenti a nostra disposizione: se non abbiamo una data competenza ce la possiamo procurare oppure possiamo rivolgerci a chi ce la può fornire. Ci vuole un approccio alla medicina che vada oltre la disciplina ristretta e sappia integrare tutte le competenze possibili per raggiungere il risultato.