Il virus dell’influenza aviaria, scomparso dopo il picco del 2006, potrebbe tornare. Le Nazioni Unite hanno infatti lanciato un avvertimento facendo sapere che il virus H5N1, che nel 2003 ha provocato la morte di 331 persone, si starebbe nuovamente diffondendo in Asia e in altre parti del mondo. La Fao, l’Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura dell’Onu, ha reso noto il fatto che dal 2008 il virus ha ricominciato a circolare tra i volatili selvatici e d’allevamento, soprattutto a causa degli schemi migratori. L’ultimo decesso umano legato all’H5N1 è avvenuto poco fa in Cambogia dove, come anche in Cina, Vietnam, Egitto e Bangladesh, il virus è ancora forte. IlSussidiario.net ha chiesto al virologo Fabrizio Pregliasco di commentare la notizia: «L’H5N1 nel 2006 era, ed è ancora tutt’oggi, un problema a livello veterinario che riguardava qualche specie di volatile. La “peste aviaria” era conosciuta anche dai contadini dell’800, nelle situazioni in cui si assisteva a morie di galline o di anatre. Di fatto nel 2006 siamo arrivati circa a metà di quella che poteva essere la capacità di trasmissione all’uomo, e avevamo potuto vedere che in condizioni ambientali a rischio, quindi con una vicinanza con l’animale, qualcuno si poteva ammalare. L’H5N1 è stato poi soppiantato mediaticamente dal più “cattivo” e “intraprendente” H1N1, ma è rimasto un problema di pandemia a livello animale, e sporadici casi di contagio umano sono avvenuti nelle zone del mondo dove la vicinanza uomo-animale è più comune». Pregliasco spiega poi che sono state proprio le migrazioni a far “espandere questo virus, che si trova in forme diverse: c’è la forma letale e la forma più blanda, in cui il volatile può esserne in qualche modo portatore senza però morire. La diffusione a cui stiamo assistendo ha principalmente due effetti negativi: innanzitutto la possibilità che in zone del mondo molto povere si riduca ulteriormente il cibo, visto che polli e altri animali di allevamento già hanno un costo inferiore; inoltre è chiaro che in zone dove l’uomo si trova più frequentemente a contatto con l’animale, anche se abbiamo a che fare con un virus blando, la diffusione potrebbe trasformarsi in una nuova pandemia. Anche la comunicazione della diffusione di questi virus è molto complicata, perché si rischia o di creare un eccessivo allarmismo, o di informare troppo poco la gente che invece vuole sapere di più: le istituzioni devono continuare a tenere attivi i sistemi di sorveglianza sia sul versante umano, ma soprattutto su quello animale”.
Commentiamo poi il fatto che nel 2003 il virus H5N1 ha causato la morte di 331 persone su 565 risultate infette: «Questi numeri rappresentano solo il segmento delle persone che sono arrivate negli ospedali e che sono state esaminate. Il problema della pandemia è proprio questo: oltre 500 persone hanno contratto il virus, però rappresentano solo la punta dell’iceberg, che in realtà è formato da tutti coloro che hanno invece contratto un’influenza normale. Soprattutto nei Paesi più poveri e a rischio non possiamo sapere quante persone siano state attaccate dal virus, perché alcune zone non sono state neanche censite, e le persone colpite dall’H5N1 neanche sono riuscite ad arrivare in un ospedale». Ma in che modo questo virus attacca l’uomo e quanto può essere letale? «La malattia è particolare ed è in grado di colpire gravemente l’uomo, perché abbiamo la “sfortuna” di possedere dei recettori che vanno bene per quel virus non nelle prime vie aeree, ma a livello polmonare basso. Se quindi siamo vicino a un animale vivo da cui inaliamo grandi quantità di virus, abbiamo un effetto a un livello molto profondo, con una polmonite virale acuta che causa una grande mortalità. In realtà però questo non “piace” al virus, che in realtà non cerca di farci molto male, proprio nel tentativo di far trasmettere il più possibile una malattia che appare banale. Paradossalmente, i virus che sono incredibilmente mortali in realtà si autolimitano, proprio perché causano delle stragi, ma sono meno diffusivi. Noi siamo quindi ospiti “secondari” di questo virus, ma se ce lo dovessimo prendere, la malattia sarebbe molto più grave anche del virus pandemico H1N1».