Eventi come questo, qualche secolo fa erano un punto di interesse diffuso e popolare per un intero continente. Stiamo parlando dell’esplosione di una supernova, come quella individuata dai ricercatori dell’osservatorio statunitense del Monte Palomar e che sta diventando giorno dopo giorno, o meglio notte dopo notte, sempre più luminosa, tanto da essere visibile la settimana prossima con un buon binocolo.
È stato così mille anni fa, quando gli astronomi imperiali cinesi nel 1054 hanno visto brillare intensamente una stella nella nebulosa del Granchio (Crab Nebula) a 6.500 anni luce da noi; è stato così nel 1572, quando l’astronomo danese Tycho Brahe ha battezzato come “nova” una stella diventata brillante per alcuni mesi nella costellazione di Cassiopea. Pochi anni dopo, nel 1604 è toccato a Keplero, dal suo osservatorio di Praga, vedere a occhio nudo un’altra supernova esplosa nella Via Lattea, misurarne la distanza da noi (circa 20.000 anni luce) e tentare una spiegazione. Mentre il suo amico Galileo approfittava dell’avvenimento per una prima discesa in campo pro-Copernico, dando un assaggio della sua vis polemica e ingaggiando accese discussioni con gli aristotelici padovani a colpi di libelli diffusi sotto pseudonimo.
Oggi la notizia è ancora tra quelle “popolari” ma tocca soprattutto il popolo dei blog di appassionati di astronomia, nonostante sia più facile per tutti accedere agli strumenti di osservazione e seguire, tramite internet, l’evolversi passo passo dell’evento luminoso. La luce che si è accesa all’interno nella costellazione dell’Orsa Maggiore è quella di Ptf 11kly, che non è un personaggio di guerre stellari ma la sigla che identifica una supernova di una particolare famiglia, classificata come Ia, esplosa nella galassia della Girandola, nota anche come Messier 101 (dal celebre catalogo galattico di Charles Messier) o NGC 5457, secondo la moderna catalogazione del New General Catalogue.
È scoppiata all’improvviso, come in una famosa canzone di Mina, creando un punto di luce là dove prima c’era solo buio. E a scovarla non sono stati gli occhi affaticati e curiosi di qualche astronomo ma quelli più freddi però più penetranti di un sistema automatico di rilevazione, il Palomar Transient Factory (da cui l’acronimo PTF) impegnato in una campagna osservativa dedicata alla ricerca delle supernovae e coadiuvato da un insieme di strumenti di calcolo avanzati. Il PTF utilizza un telescopio robotico montato sul telescopio Samuel Oschin dell’Osservatorio di Monte Palomar (California), per svolgere una accurata scansione del cielo notturno.
I dati delle osservazioni vengono inviati a più di 500 chilometri per essere elaborati presso il National Energy Research Scientific Computing Center (NERSC) tramite l’High Performance Wireless Research and Education Network e l’Energy Sciences Network (ESnet) del Dipartimento dell’Energia Usa. Tre ore dopo l’identificazione automatica dell’evento, i telescopi situati nelle Isole Canarie ne hanno catturato le caratteristiche “firme spettrali”. Alcune ore più tardi, l’evento è stato osservato con una serie di telescopi tra cui il Lick Observatory (California) e il Keck Observatory (Hawaii) e si è stabilito che la supernova appartiene a una particolare categoria denominata Ia.
Da trent’anni non si vedevano supernovae così luminose e alla distanza di soli (!) 21 milioni di anni luce dal nostro Sole: quella scoperta nel 1987 ha destato altrettanto interesse ma era otto volte più lontana e fuori dalla Via Lattea, nella galassia chiamata Grande Nube di Magellano. Soprattutto, non si era mai potuto osservare il fenomeno nel suo nascere: da quando cioè – spiegano gli astrofisici – una stella medio piccola giunge nella fase del suo ciclo vitale corrispondente a una cosiddetta “nana bianca” per poi collassare su sé stessa per effetto della gravità. La maggior parte delle nane bianche, compresa quella che con ogni probabilità sarà il nostro Sole tra qualche miliardo di anni, proseguono lentamente il loro invecchiamento fino a spegnersi; ma se la sua massa superare un certo limite (circa 1,4 volte quella del Sole, detta massa di Chandrasekhar) allora avviene una terrificante esplosione termonucleare che distrugge la stella e ne proietta il materiale a velocità di decine di migliaia di chilometri al secondo.
Il valore delle Supernovae di tipo Ia è notevole perché osservandone l’evoluzione nel tempo è possibile risalire alla luminosità intrinseca dell’esplosione e da qui alla distanza. Diventano quindi delle “candele” campione che offrono ai cosmologi una chiave per “vedere” il ritmo dell’espansione dell’universo fino ad epoche molto remote. È uno dei segnali, sottili ma eloquenti, con i quali il cosmo ci racconta la sua storia; che è poi la nostra storia.