“L’aviatore può addormentarsi se c’è l’autopilota elettronico”: così l’11 aprile 1956 il Corriere della Sera titolava un articolo di presentazione della mostra – convegno internazionale dell’automatismo organizzata presso il Museo della Scienza di Milano. Dopo più di mezzo secolo Milano torna ad essere la capitale mondiale della “automatica”, come si chiama adesso, ospitando il mega congresso della International Federation of Automatic Control (IFAC); con toni meno trionfalistici ma con una maggior consapevolezza dell’importanza dei sistemi di controllo automatico e con la soddisfazione di veder aumentare enormemente le aree applicative. A guidare, senza pilota automatico, questa intensa settimana di convegni, dibattiti e progetti c’è Sergio Bittanti, docente presso il Dipartimento di Elettronica e Informazione del Politecnico di Milano, che abbiamo incontrato durante una breve pausa nei chiostri dell’Università Cattolica, sede del congresso.
Professor Bittanti, un primo risultato è già l’aver portato a Milano un evento di queste proporzioni …
Sì, questi convegni hanno cadenza triennale e rappresentano il massimo punto di riferimento e confronto mondiale nel settore. Il primo si svolse a Mosca, nel 1960, sotto la presidenza di un americano benché si fosse in pieno clima di guerra fredda; a sottolineare lo stile collaborativo e amichevole della nostra comunità scientifica. Questo è il 18° ed è il primo che si tiene in Italia, che pure in questi decenni ha dato e continua a dare contributi rilevanti in termini di elaborazioni teoriche, di innovazioni e di realizzazioni.
Le dimensioni di una manifestazione simile sono effettivamente notevoli e credo di poter dire che stiamo battendo un record di partecipazione: basti pensare alle 2478 relazioni presentate qui, molte delle quali sono il frutto di collaborazioni tra la ricerca accademica e quella industriale.
Quando ci riferiamo ai controlli automatici dobbiamo pensare più a un’opera di sistemazione teorica o a un diffondersi di soluzioni applicative?
Questo congresso ci dà uno spaccato realistico della situazione e possiamo vedere che i due ambiti che lei ha citato si ripartiscono quasi equamente: a fronte di un 22% di contributi dedicati ai sistemi e di un 28% dedicati alle metodologie, quindi di taglio più teorico, abbiamo il restante 50% distribuito tra meccatronica, robotica, sistemi industriali, trasporti, comunicazioni, bio ed ecosistemi. Peraltro, anche dei primi nominati è difficile dire che si tratta di pura teoria, essendo sempre presente fin da subito la prospettiva applicativa.
Una prospettiva che negli ultimi anni si è molto arricchita, fino ad abbracciare campi prima impensabili…
Certo. Basterà citare esempi di interesse generale come quello dell’automotive, dove i controlli automatici rivestono ormai un ruolo consistente. Si pensi all’ABS – proprio ieri abbiamo premiato uno dei suoi inventori – o ai sistemi di riduzione delle emissioni inquinanti: qui ad esempio il risultato è ottenuto grazie ai sistemi che permettono di far funzionare le macchine con maggior efficienza e questo è un tipico problema di feedback, cioè di controllo. Possiamo tranquillamente affermare che il passaggio da euro zero a euro 5 è merito dei sistemi di controllo inseriti nelle moderne automobili; pensiamo anche ai sistemi di controllo dell’assetto, della frenata e tanti altri ancora.
Un altro ambito che sta assumendo grande importanza è quello del controllo dei sistemi di distribuzione di energia elettrica: si parla sempre più di smart grid, cioè di reti intelligenti volte ad integrare le sorgenti di energia rinnovabile distribuite sul territorio, che vanno diffondendosi sempre più, con le reti di generazione e distribuzione tradizionali.
E cosa si può dire delle applicazioni in campo biomedico?
È uno dei più promettenti e che risponde alle attese di molti. Gli esempi sono tanti ma qui voglio citarne uno al quale sono dedicati diversi contribuiti nel convegno: il pancreas artificiale. Sembra finalmente giunto il giorno in cui i malati di diabete non dovranno più sottostare alle faticose pratiche terapeutiche quotidiane ma potranno avvalersi di un sistema automatico che rileva la densità degli zuccheri nel sangue e comanda, via wi-fi, un meccanismo che inietta sottocute la quantità opportuna di insulina.
Quali sono i fattori che hanno più contribuito alla diffusione dei sistemi di controllo automatico?
Da un lato c’è la crescente complessità di sistemi, apparecchiature e infrastrutture, che amplifica i problemi digestione e aumenta ovunque l’esigenza di controlli sempre più affidabili. Dall’altro c’è un fattore tecnologico ben preciso: la disponibilità diffusa e il basso costo dei sistemi informatici, che consente di implementare algoritmi complessi su supporti piccoli ed economici, collocabili dappertutto.
E le telecomunicazioni?
Oggi hanno un ruolo fondamentale. Possiamo infatti eseguire i cosiddetti controlli remoti, controllando a distanza sistemi di vario tipo tramite comunicazioni wireless o comunque utilizzandole reti di comunicazione dell’informatica.
Il tema del controllo richiama, oltre a quello dell’efficienza, il problema della sicurezza. Cosa c’è di nuovo in proposito?
C’è un campo che è in grande sviluppo ultimamente ed è definito come “fault detection and isolation”, cioè la rilevazione e l’isolamento dei guasti. È legato alla possibilità di stimare variabili non misurabili interne a un sistema tramite la rilevazione di parametri esterni. Un tema di grande portata per i sistemi industriali, dove la garanzia della sicurezza degli impianti e dei processi deve raggiungere livelli sempre maggiori.
Un’ultima considerazione di carattere generale: mentre aumentano le nostre capacità di controllo, crescono i casi, anche drammatici, di fenomeni, specie quelli naturali, che non riusciamo a dominare. Come vive lei questo dualismo?
Con molta prudenza e realismo. Anche nell’ambito dei sistemi tecnologici c’è ancora molto da fare e più in generale ci sono ancora molte situazioni che sfuggono alla possibilità di controllo da parte degli umani. Ci sono settori favoriti dalla possibilità di eseguire molte misure e fare previsioni; altri, e spesso i più delicati, dove le previsioni sono precarie e l’imprevedibile è sempre in agguato. Dobbiamo ammettere che al momento non siamo in grado di dire “tutto sotto controllo”.