Uniformare a tutto il Paese il limite per la possibilità di procreare secondo fecondazione in vitro. E’ quanto sta studiando il coordinamento interregionale della commissione Salute. Attualmente infatti le Regioni seguono direttive autonome, tanto che ad esempio in Toscana esiste già un limite di 42 anni, in Trentino di 40 mentre il Veneto recentemente lo ha portato a 50 anni. La proposta, che segue comunque le linee guida della legge 40, vuole portare il limite massimo di procreazione a 42 anni, 11 mesi e 29 giorni. La proposta fa seguito alle recenti polemiche sui casi di cosiddette “mamme nonne” come la coppia di Torino (l57 anni, lei, 70 lui, a cui è stato tolto il figlio avuto tramite provetta perché considerati troppo anziane). Secondo Carlo Bellieni, medico neonatologo, docente di Terapia intensiva neonatale all’Università di Siena, intervistato da IlSussidiario.net, quanto si sta cercando di proporre è una iniziativa giusta. “La procreazione assistita, caso  nel quale si forzano i limiti della natura, ha bisogno di un sistema di garanzie adottato dallo Stato” ci ha detto, sottolineando come quella che si è fatta passare fino ad oggi sia una immagine e un pensiero della natalità assai sbagliata e ingannevole. “Il figlio non è uno status symbol, qualcosa che uno si regala, come si legge su certi giornali, per dimostrare al mondo di essere fecondo, di essere bravo: questo  è un atteggiamento immaturo e lo Stato non può essere collaboratore di un atteggiamento del genere”.



Professor Bellieni, perché si sente il bisogno di abbassare l’età di procreazione?

C’è un problema da considerare innanzitutto dal punto di vista medico. La nascita di un bambino in età materna sempre più avanzata è un rischio grave per la salute del bambino e per quella della madre. Dare una linea precisa è importante: si tutela la salute della madre e quella del bambino. I rischi infatti sono tanti: dal diabete della madre con rischio di vita per il bambino a malformazioni gravi, a casi di aborto spontaneo. Soprattutto più si va in là negli anni meno funziona la procreazione in vitro; si illude la donna di poter fare un figlio quando si vuole invece è una bugia.



Una illusione che però sembra sia stata presa sul serio da molti, come la cronaca recente dimostra.

Il fatto di mettere un limite dal punto di vista legislativo è un tentativo di uniformare le cautele che vengono date nei casi di gravidanza non direttamente provocata come l’adozione. La procreazione assistita, caso nel quale si forzano i limiti della natura, ha bisogno di un sistema di garanzie adottato dallo Stato. Infatti, se ci sono garanzie che si chiedono a chi vuole adottare, non si vede perché non chiedere altrettante garanzie a chi vuole fare la fecondazione in vitro.

Non è una intrusione dello Stato nei diritti della persona?



Il contrario, è una difesa dei diritti del bambino. Non si può tenere in primo piano solo il desiderio dei genitori altrimenti il bambino conta meno dei genitori. L’interesse del bambino è la prima cosa che si chiede nell’adozione ma così deve essere anche nel caso di fecondazione in vitro. Nasceranno bambini che lo Stato tutela come tutti gli altri bambini, ma siccome son casi che chiedono qualcosa in più, deve essere elargito questo qualcosa in più se siamo sicuri che il bambino non ne abbia un detrimento.

Non c’è solo il problema della gravidanza e del parto, c’è anche il problema del dopo.

E’ ovvio che se io faccio un figlio a 80 anni o quando ne ho 60,  è molto più facile che la morte sia più vicina a quell’età. Ma non solo, è anche vicina l’età dell’invalidità. Mettere sulle spalle di un bambino di 10 o 15 anni il prendersi cura di genitori di 70, 80 anni è fuori luogo. Un conto se un bambino nasce spontaneamente da genitori di una certa età,  è una situazione che avrà i suoi pro e contro, ma provocare tale nascita con mille artifizi in modo da poterlo avere a un’età in cui rischia di essere ben presto orfano o badante dei genitori, è una cosa che lo Stato dovrebbe evitare. Se un bambino finisce in tali situazioni per cause naturali, lo Stato lo aiuterà,  ma lo Stato non deve provocare situazioni difficili.

E’ come se si fosse perso coscienza di cosa significhi avere un figlio.

Il figlio non può essere un progetto, il coronamento di una vita o qualcosa che uno si regala. Il figlio è un dato di fatto, è un tu,  una alterità che non può essere secondaria ai desideri di nessuno. Il figlio non è un diritto, il figlio non è una scelta e lo Stato deve garantire tutto ciò: se mette dei limiti non sono per tarpare le ali a qualcuno. Avere un genitori di 80 anni quando nei hai 15 quello è tarpare le ali, ma al ragazzino. Il figlio non è uno status symbol, qualcosa che uno si regala per dimostrare al mondo di essere fecondo, di essere bravo: questo  è un atteggiamento immaturo e lo Stato non può essere collaboratore di un atteggiamento del genere.