Cosa è la luce? E’ una delle moltissime domande della scienza che appaiono ovvie, ma che, quando si cerca di darne una definizione impeccabile, può mettere in estrema difficoltà. Non c’è alcun dubbio però che una buona risposta assai accettata è che la luce sia un’onda elettromagnetica.
Quando si vuole visualizzare il concetto di onda si ricorre spesso all’onda del mare che tutti abbiamo ben presente. Immaginiamo ora di scattare una fotografia all’onda del mare: in questo modo avremo in un certo senso “congelato” l’onda. Abbiamo così fermato il tempo e possiamo osservare l’onda in tutta la sua evoluzione nello spazio. Vi saranno punti in cui l’onda sarà alta, fino a toccare il suo massimo, e punti in cui l’onda scenderà.
Immaginiamo adesso non di fotografare la nostra onda, ma di metterci in un certo punto del mare e di osservare, mentre il tempo passa, il livello cui l’acqua arriva in quel punto. In certi istanti l’acqua sarà al livello massimo, per poi scendere di nuovo verso il minimo e ripartire. In questo caso possiamo dire che abbiamo bloccato lo spazio e osserviamo l’evoluzione temporale dell’onda. Ma la forma dell’onda che osserveremo sarà in pratica la stessa.
Cosa intendevamo far notare con questo esempio? Che per quel che riguarda le onde l’evoluzione nel tempo e nello spazio sono in un certo senso due facce della stessa medaglia, che possono quindi avere comportamenti simmetrici (chi ama la matematica potrebbe qui apprezzare il fatto che la rappresentazione matematica delle onde presenta infatti in maniera esattamente simmetrica il tempo e lo spazio). Ma, se questo è vero, molti dei concetti che si applicano alla luce che avanza nello spazio possono essere applicati anche alla luce che evolve nel tempo.
L’ultima conferma di questa affascinante simmetria si ha in un recente articolo di Moti Fridman, Alessandro Farsi, Yoshitomo Okawachi e Alexander L. Gaeta pubblicato da Nature. Avevamo già avuto modo di parlare su Ilsussidiario.net della possibilità di realizzare il mantello dell’invisibilità: in pratica si tratta di avere dei materiali che siano in grado di riflettere la luce che arriva su di essi in modo da curvarla e farla ripartire seguendo la direzione di provenienza. Per fare lo stesso esempio che c’è nell’articolo di Nature, questi materiali si comportano nei confronti della luce come una rotonda posta a un incrocio si comporta sul flusso delle macchine che avanzano: le macchine girano attorno alla rotonda e ripartono in avanti. Una persona che osservasse le macchine alcuni metri prima e dopo la rotonda potrebbe anche non accorgersi minimamente della deviazione che hanno subito.
Lo stesso concetto di invisibilità è stato recentemente allargato al tempo: l’idea è quella di accelerare la parte anteriore delle onde luminose e di rallentare la parte posteriore. In questo modo viene a crearsi un varco temporale: gli eventi che si verificano li sono “invisibili” anche perché il varco viene poi chiuso invertendo la modificazione della velocità della luce che ha superato il varco.
Il grande passo avanti dell’articolo apparso su Nature è che questa interessante idea teorica è stata verificata in un lavoro sperimentale. Fridman e i suoi colleghi sono riusciti a disperdere temporalmente una luce verde, aprendo così un varco temporale di 50 picosecondi (un picosecondo è un millesimo di miliardesimo di secondo), varco che poi hanno richiuso con il procedimento inverso. Un impulso di luce che è stato inviato durante quel varco di invisibilità è risultato impossibile da osservare.
Per rimanere all’esempio delle nostre automobili che procedono nel traffico, il comportamento del “mantello temporale” è assimilabile a quello di un semaforo: le macchine rallentano avvicinandosi al semaforo rosso e ripartono accelerando quando torna il verde. Ma un osservatore che osservasse il flusso di macchine qualche centinaio di metri prima e dopo il semaforo potrebbe non accorgersi di nulla, dato che per lui il flusso risulterebbe invariato e l’evento del “semaforo” rimarrebbe nascosto (è, ahimè, quello che ci capita quando dobbiamo traversare una strada a grande scorrimento e ci accorgiamo che lo stop provocato da un semaforo lontano non provoca una pausa nel traffico sufficiente al nostro passaggio).
La scoperta è interessante per quel che riguarda la fisica di base, ma gli autori stessi affermano che, riuscendo ad allargare un po’ il tempo di “invisibilità”, l’apparato sperimentale potrebbe essere utile anche per quel che riguarda la trasmissione dei dati in sicurezza, potendo nascondere i segnali che non devono essere intercettati.